Scorie - L'eterna grande illusione
Che il cosiddetto ceto medio in Italia sia tartassato non è una novità. Che oltretutto sia costretto da tempo anche a pagare, quando ne fruisce, una parte più o meno consistente dei servizi di welfare che in teoria dovrebbe già aver pagato con imposte e tasse, è anche questa una consuetudine ormai. Così come il fatto che, per lo Stato, si inizia a essere sostanzialmente ricchi quando il reddito lordo supera i 35mila euro.
E' quindi sacrosanto invocare una riduzione del peso del fisco, come fa, per esempio, Stefano Cuzzilla, presidente di Cida, la Confederazione italiana dei dirigenti e delle alte professionalità.
Secondo Cuzzilla serve "una riforma fiscale che alleggerisca il lavoro dipendente, che premi chi produce valore e non chi lo elude. E basta considerare i pensionati un capitolo di spesa: sono una risorsa strategica, il primo ammortizzatore sociale del Paese. Serve una rivalutazione delle pensioni, un rafforzamento della previdenza integrativa, una più convinta lotta all'evasione, una valorizzazione della managerialità che tiene insieme istituzioni, imprese e cittadini."
Sorvolo sulla "lotta all'evasione" come strumento che allevierebbe il peso sugli altri, mentre non solo una riflessione sul problema della mentalità diffusa (su cui torno a breve), ma anche le evidenze empiriche dimostrano che ogni incremento delle entrate è considerato tanto dalle maggioranze quanto dalle opposizioni pro tempore come un "tesoretto" da destinare ad aumenti di spesa pubblica.
Quanto alla retorica dei pensionati come primo ammortizzatore sociale del Paese, andrebbe sempre verificato se il singolo pensionato stia percependo un assegno in linea con la rendita che teoricamente avrebbe prodotto il suo montante contributivo in un regime a capitalizzazione, oppure no. Considerando che il sistema è a ripartizione e, soprattutto, la gran parte degli attuali pensionati percepisce un assegno calcolato col metodo retributivo, spesso tale assegno è (ben) superiore a quello derivante da una rendita basata sulla capitalizzazione dei contributi a suo tempo versati.
Per cui il pensionato che aiuta figli e nipoti potrebbe in realtà a sua volta essere un consumatore di tasse altrui. La spesa pensionistica è già attorno al 16% del Pil in Italia, in un contesto in cui il cuneo fiscale è tra i più elevati a livello continentale. Rivalutare le pensioni comporterebbe un ulteriore costo e considerando che già oggi i soli contributi di chi lavora non bastano a pagare gli assegni in essere, questo è difficilmente compatibile con una riduzione delle tasse.
Più in generale, il problema fondamentale è quello della mentalità diffusa per cui si chiede, giustamente, che le tasse siano ridotte, al tempo stesso chiedendo che lo Stato faccia di più.
Il Censis rileva che il 70% degli italiani vorrebbe una riduzione delle imposte sui redditi e oltre l'80% ritiene che sia più quello che paga che quello che riceve dallo Stato.
Ma fino a quando non ci sarà consapevolezza che l'unico modo per avere durevolmente una riduzione del carico fiscale è che lo Stato faccia (molto) meno, queste lamentele non porteranno da nessuna parte.
La amara verità è che prevale, purtroppo, l'idea che a calare dovrebbero essere le proprie tasse, e ben venga se aumentano quelle pagate da altri. E altempo stesso dovrebbe anche aumentare la quota di servizi "gratuiti".
In altri termini, la perpetuazione della "grande illusione attraverso la quale tutti cercano di vivere alle spalle di tutti gli altri", come scriveva Bastiat definendo lo Stato oltre 150 anni fa.
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