Scorie - Dischi rotti
Nel mezzo della primavera di ogni anno, da ormai un decennio, il ministero della Cultura rende nota la lista dei dischi che hanno beneficiato del credito di imposta, che ammonta al 30% degli investimenti sostenuti per un massimo di 75mila euro a disco (a valere su una spesa di 250mila euro) e di 2 milioni ad azienda nell'arco del triennio.
In tutto nel 2024 i crediti fiscali riconosciuti alla musica ammontano a 17 milioni.
I "benaltristi" direbbero che si tratta di spiccioli, mentre i beneficiari, abbastanza prevedibilmente, vorrebbero che la misura fosse più generosa.
In linea di massima, ben venga ogni misura che riduce le tasse, ma continuo a non capire per quale motivo si debba incentivare questa attività invece che altre.
Se si producono dischi che altrimenti non si sarebbero prodotti, significa che non c'è domanda sufficiente a rendere redditizia la produzione alle stesse condizioni fiscali, per fare un esempio, di un'impresa che produce bicchieri di plastica.
Se, viceversa, si producono dischi che si sarebbero prodotti comunque, si aumentano i profitti netti per i beneficiari degli incentivi fiscali, mentre il fisco non fa sconti alla ipotetica impresa che produce bicchieri di plastica.
Lo Stato non dovrebbe tassare né spendere denaro altrui. Men che meno scegliere a chi fare sconti e a chi no.
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