Scorie - Non basta chiamare una spesa "investimento"
Ho già avuto modo di osservare diverse volte che la principale differenza, negli Stati Uniti e non solo, tra destra e sinistra consiste per lo più in come fare deficit e accumulare debito. Essendo appunto il deficit considerato una via alla prosperità, o quanto meno non alla decadenza.
A parti alterne, a seconda di chi sta governando, c'è poi l'esercizio ad accusare l'avversario di dissennatezza proprio per via del deterioramento dei bilancio federale. Adesso è ovviamente il turno dei democratici, e dei commentatori che simpatizzano, per loro accusare Trump di sfasciare i conti pubblici, che in realtà hanno preso a peggiorare significativamente almeno dal 2008, se si guarda al rapporto tra debito federale e Pil.
I commentatori di fede democratica accusano poi Trump di tagliare lo stato sociale per limitare almeno in parte l'effetto sul deficit dei prospettati (e prorogati) tagli di tasse.
E la faccenda è che cercano di metterla su piano dell'evidenza economica, citando una quantità di studi di economisti (guarda caso della stessa idea politica) in base ai quali il rafforzamento dello stato sociale, al contrario, porterebbe miglioramenti non solo ai beneficiari, ma all'intera economia.
Ne scrive su Bloomberg Kathryn Edwards, ovviamente spacciando il tutto per oggettivo.
Siccome "parte del razionale per i tagli sembra essere che usare denaro pubblico per aiutare persone a basso reddito sia fonte di sprechi e inefficienze", Edwards scrive che "dopo decenni di ricerca, gli economisti considerano oggi la spesa a favore degli americani a basso reddito non come carità, ma come un investimento".
Ovviamente non tutti gli economisti la pensano così, anche tra coloro che fanno studi empirici. Ma evidentemente quelli per Edwards non sono economisti.
Interessante il passaggio in cui Edwards scrive che ricercatori e sostenitori si sono fatti furbi, in quanto "sono riusciti a modificare i termini del dibattito: l'assistenza ai poveri non è spesa sulle per persone, ma un investimento nelle prsone. Spendere richiede giustificare le persone; investire richiede giustificare il rendimento."
Il tutto perché migliorerebbe la salute e quindi il cosiddetto capitale umano.
Risparmiandovi i passaggi in cui Edwards dà conto di studi secondo i quali determinate spese avrebbero moltiplicatori sul Pil da relegare a episodio minore quanto avvenne sulle rive del lago di Tiberiade due millenni orsono, mi limito a osservare, per l'ennesima volta, che i dati, opportunamente selezionati e trattati, "confessano" qualsiasi cosa l'analista voglia che dicano.
Posto che nei Paesi a welfare "pesante" la dinamicità dell'economia ne ha spesso risentito, mi limiterei a un paio di considerazioni.
La prima è di metodo: gli studi empirici in questione si concentrano sugli effetti di una politica sui beneficiari e li considerano un miglioramento complessivo per l'economia perché ritengono invariato tutto il resto, ma sugli altri gruppi di persone non rimarrebbe tutto invariato. Questo è il classico approccio che non considera la "lezione" di Henry Hazlitt (e prima ancora di Frederic Bastiat).
La seconda è di tipo etico: se questi interventi redistributivi fossero davvero così benefici, a quale punto prima del socialismo integrale ci si dovrebbe fermare nella violazione del principio di non aggressione?
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