Scorie - La chiamano simmetricità

Come ben sa chi ha letto i lavori degli economisti di scuola Austriaca, durante la prima parte del secolo scorso anche il termine inflazione (al pari, per esempio, di "liberalismo") fu al centro di un esercizio neolinguistico.

Al posto della definizione originaria, che identificava l'inflazione con un aumento della quantità di moneta, nel linguaggio mainstream si passò a definire "inflazione" l'aumento di particolari indici di prezzi. In pratica divenne inflazione quella che è una delle conseguenze dell'inflazione.

Si passò poi a sviare in più modi l'attenzione dalla causa primaria di un aumento generalizzato dei prezzi, che è riconducibile all'inflazione monetaria (o propriamente detta).

Le banche centrali, che mediante la politica monetaria avevano il potere di manipolare i tassi di interesse e incidere sull'offerta di moneta da parte delle banche in regime di riserva frazionaria, vennero chiamate a controllare l'inflazione. Una situazione paragonabile al nominare vigili del foco un gruppo di piromani.

Negli anni Settanta, i nodi delle politiche monetarie espansive arrivarono al pettine, con l'abbandono definitivo della convertibilità in oro del dollaro americano e prezzi in crescita a due cifre. A inizio anni Ottanta ci fu quindi una parentesi di restrizione monetaria, con l'approdo graduale a definire target di crescita dei prezzi al consumo non superiori al 2% annuo.

A parte le periodiche modifiche degli indici, ufficialmente per rimuovere elementi volatili ma con conseguenze quasi sempre in direzione di una riduzione della crescita degli indici stessi, lo stesso target è stato poi soggetto a ridefinizioni.

Da ultimo la BCE, che stabilì nel 1998 un obiettivo di crescita dei prezzi al consumo "inferiore al 2%" su pressione della Bundesbank, è arrivata a una simmetricità sul 2%. Il che significa che non adotterà provvedimenti restrittivi nel caso in cui i prezzi crescano oltre il 2%, con margini di tolleranza abbastanza opachi da lasciare (ampio) margine di manovra. Il tutto con un occhio a un non meglio definito medio termine e al mantenimento di aspettative ancorate attorno al 2%. 

La tappa intermedia, nel 2003, era stata passare da "inferiore al 2%" a "inferiori ma prossimo al 2%".

L'effetto pratico è stato un aumento della discrezionalità della banca centrale nel corso degli anni, a cui è coinciso un orientamento sempre più espansivo.

Governi e altri debitori sono contenti. Gli investitori in obbligazioni hanno per anni visto prosciugarsi il flusso cedolare, sostituito dai guadagni in conto capitale dovuti alla continua discesa dei tassi di interesse. Adesso sono seduti su tonnellate di titoli con rendimenti ridicoli o perfino negativi, pronti a infliggere pesanti perdite al minimo rialzo dei tassi. Il numero di imprese molto indebitate e solvibili solo grazie a tassi di interesse compressi è n costante aumento.

Per questo ogni notizia che rimanda una anche solo minima inversione di rotta della politica monetaria è colta con entusiasmo. Un entusiasmo malato.

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