Scorie - (Il)liberalsocialismo e povertà

Quando si affronta il tema della povertà, coloro che invocano un intervento redistributivo da parte dello Stato sono soliti argomentare in modo tale da fare apparire tale forma di aiuto l'unica via percorribile. In sostanza, chi ha un punto di vista contrario è più o meno esplicitamente considerato insensibile alla sofferenza di chi è povero.

Il punto di partenza è un presunto fallimento del mercato, dato che la povertà persiste. Scrive, per esempio, Natalino Irti:

"La terribile e angosciosa parola, povertà, non può essere esorcizzata o neutralizzata in nome degli astratti e illuministici diritti umani: essa esige la immediata ed efficace risposta dell'oggi. La quale non può certo trovarsi nella fatuità dottrinaria di chi sempre invoca la "mano invisibile" di Adam Smith (a cui il nostro Alessandro Roncaglia dedicò una critica memorabile), e attende il miracolo di interessi privati che insieme perseguano e soddisfino interessi sociali; né nel dichiarare una pura e semplice fede liberale. È invece l'ora che si manifesti e attui, nella concretezza delle decisioni politiche, il professato o millantato liberalsocialismo."

Per intenderci, il liberalsocialismo è la concessione al liberalismo da parte dei non integralmente socialisti in Italia, ma, come tutti gli ossimori, dovrebbe suscitare perplessità in chi è liberale.

Prosegue Irti:

"La povertà non può attendere; ed esige la "mano visibile" dello Stato, che la sollevi e soccorra nei modi più opportuni e durevoli. L'economia sociale di mercato rischia altrimenti di convertirsi in economia di mercato senza socialità."

Di fronte ad affermazioni di questo tenore, chi non conoscesse i numeri della finanza pubblica italiana dovrebbe supporre che si tratti di uno Stato con un peso sul Pil (tasse e spesa) irrisorio.

Al contrario, lo Stato pesa per circa la metà del Pil. Quindi la mano è tutt'altro che invisibile. Tuttavia, pare sia dato per scontato che non sia abbastanza visibile. In altri termini, se un problema persiste significa che non si è fatto abbastanza, che bisogna fare di più. 

L'argomento si scontra con l'evidenza dei numeri, per l'appunto. Ma si scontra anche con la storia del Novecento, che ha testimoniato inequivocabilmente che aumentare la dose di socialismo non fa diminuire la povertà, bensì la rende più omogenea.

Soprattutto, tralascia completamente di considerare il male che si fa con ogni intervento redistributore, ossia ciò che "non si vede", per dirla con Bastiat.

Non si tratta di "dichiarare una pura e semplice fede liberale", ma di considerare la questione complessivamente, non soffermandosi sui beneficiari, ma anche su coloro che sono forzati a fornire le risorse e che dovrebbero essere liberi di fare del bene come e a chi vogliono.

Altrimenti si finisce per professare una fede nello Stato altrettanto pura e semplice, peraltro chiudendo gli occhi sui fallimenti a catena della sua azione.

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