Scorie - Ritornare a Keynes? No, grazie

Riflettendo sulle criticità per il 2025, Giuliano Noci scrive:

"La globalizzazione non è infatti come sembra: siamo tutti consapevoli che ci ha portato in dote benefici molto importanti. Miliardi di persone sono uscite dalla condizione di povertà, si è registrata una crescita economica senza precedenti e le aspettative di vita sono cresciute quasi esponenzialmente. Nel cosiddetto mondo occidentale le borse hanno raggiunto i propri massimi e i livelli di occupazione sono in media migliorati a livello macro. Registriamo tuttavia un palpabile malcontento quasi ovunque: la classe media è sostanzialmente sparita, la capacità di potere di acquisto delle persone si è in media ridotta, il populismo (di cui Trump è forse la massima espressione) ha attecchito a tal punto da ergersi a prospettiva culturale che ispira il governo di molti Paesi. Come spiegare questo paradosso? La globalizzazione ha sì garantito una notevole crescita a livello macro ma ha anche creato enormi squilibri interni alle società dei vari Paesi. Nel tempo, si è andato affermando un modello che ha orientato le economie lontano dalla sfera interna, verso mercati internazionali deregolamentati dei beni e del capitale. L'orientamento all'export di economie come quelle della Germania e della Cina ha aumentato i redditi dell'1% dei proprietari e degli azionisti delle imprese orientate all'esportazione. Tuttavia, i redditi del restante 99% (i salari dei lavoratori nell'economia domestica) si sono ridotti in termini di potere di acquisto."

Non intendo negare che la globalizzazione, per come è stata asimmetricamente gestita, abbia comportato grandi redistribuzioni e concentrazioni di ricchezza. Dubito, però, che sia il fattore determinante per spiegare tali redistribuzioni.

Secondo Noci, tuttavia, "questo è stato reso possibile nei fatti da una inversione dell'usuale sistema di funzionamento sociale: i privati hanno preso il sopravvento sugli Stati (ci ricorda qualcosa Musk?) e il sistema finanziario si è caratterizzato per una mobilità illimitata dei capitali."

Mi sembra appena il caso di ricordare che se i privati hanno preso il sopravvento sugli Stati, il tutto è avvenuto con la collaborazione di chi guidava gli Stati. Per esempio: qualcuno pensa che Tesla avrebbe potuto sopravvivere senza i generosi incentivi statali a sostegno della domanda e l'obbligo, di fatto, a carico dei produttori di auto con motore endotermico di comprare dalla stessa Tesla certificati di emissione a caro prezzo?

Quanto al sistema finanziario, il problema è la mobilità dei capitali (non vorrei che si volesse tornare indietro di 50 anni) o anni di politiche monetarie ultraespansive con relativo effetto Cantillon?

Evidentemente questo non è un problema per Noci, secondo il quale dovremmo "ritornare a Keynes e attribuire una nuova centralità al ruolo degli Stati e all'affermazione di politiche interne a sostegno del 99% depauperato: serve dunque un ribilanciamento tra ruolo dei privati e degli Stati. È necessario in secondo luogo l'abbandono di un'unica valuta di riserva egemonica (il dollaro): un sistema dannoso, per gli squilibri che crea, tanto per i cittadini della nazione egemone (gli Usa) quanto per molti altri Stati. È giunto davvero il momento di ridefinire gli accordi di Bretton Woods, onde evitare un pericolo scivolamento verso una situazione di tensione che può sfuggire di mano."

Mi limito a osservare che non abbiamo vissuto in un regime di Stato minimo in tutti questi anni. Quanto alle questioni monetarie, invece di tornare a Bretton Woods, dove Keynes avrebbe voluto l'introduzione di una moneta fiat globale, sarebbe meglio che gli Stati interrompessero l'interventismo monetario. Perché quello di oggi è il risultato di decenni di interventismo in progressivo aumento. 

Se non ha portato nulla di buono finora, quale illuminazione e onniscienza ci si può aspettare in futuro?


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