Scorie - Meglio togliere la zavorra che rimpiangere la svalutazione

Chi legge Milano Finanza sa che, periodicamente, l'editoriale del fondatore, Paolo Panerai, verte sugli anni Novanta, quelli che portarono prima all'uscita della lira dallo SME, poi al quasi default, poi alle privatizzazioni e infine all'ingresso nell'unione monetaria.

Panerai è tra coloro che ritengono che le privatizzazioni furono svendite e che la fissazione del cambio a 1.936,27 lire contro euro, corrispondenti a poco meno di 990 lire contro marco tedesco, sia stata penalizzante per l'Italia, cristallizzando una sopravvalutazione della lira.

Ovviamente chi parla di penalizzazione lo fa assumendo l'ottica dell'esportatore. In effetti se un'impresa esporta i proprio prodotti e riesce a rifornirsi di fattori produttivi esclusivamente o prevalentemente domestici, la svalutazione del cambio non è certo malvista. E difatti una parte di imprese esportatrici rimpiange i tempi delle svalutazioni della lira.

Va detto che, soprattutto nella manifattura con processi ad alta intensità di lavoro, il principale fattore produttivo domestico è proprio il lavoro, quindi la svalutazione funziona nella misura in cui l'aumento del costo nominale del lavoro è inferiore al beneficio tratto dall'indebolimento del cambio.

In ogni caso, sostenere che la lira sia stata sopravvalutata e, al tempo stesso, che ciò abbia comportato "un inevitabile impoverimento dell'Italia e degli italiani", come fa Panerai, non ha senso.

Poche righe prima, Panerai scrive che "per l'inflazione e il debito pubblico crescente la lira si era drammaticamente indebolita", riferendosi al 1995, "fino ad arrivare a 1.188,75 per un marco."

Mantenendo lo stesso rapporto tra marco ed euro di quando furono fissati definitivamente i cambi tra le monete aderenti all'unione monetaria, ai valori del 1995 sarebbero servite circa 2.325 lire per un euro. 

Ora, un milione di lire al cambio di 1.936,27 diventarono 516,46. Al cambio del 1995 lo stesso milione di lire sarebbe stato pari a circa 430 euro.

Confesso che io, potendo scegliere, preferirei ricevere 516 euro invece che 430 contro lo stesso milione di lire.

Quindi il cambio a 1.936,27 non impoverì di per sé gli italiani. Però la fine delle svalutazioni della lira comportò la fine di quei momenti in cui i prezzi relativi erano modificati non direttamente, ma, per l'appunto, attraverso la svalutazione. 

Con la svalutazione, così come con l'inflazione (due conseguenze della stessa ricetta, ossia il lassismo monetario e fiscale), c'è chi trae benefici e chi viene penalizzato. Di sicuro, la competitività di un sistema economico appesa alla svalutazione è paragonabile a quella di un atleta determinata dal doping.

Poi si tratta di capire se il doping serve perché l'atleta è scarso, si allena poco ed è pieno di vizi, oppure se sarebbe competitivo, si allena molto e conduce una vita sana, ma è costretto a gareggiare portando una pesante zavorra.

In Italia la pesante zavorra c'era trent'anni fa e c'è ancora di più oggi. Ma la soluzione è rimuovere la zavorra, non il ricorso al doping.

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