Scorie - Keynesismo turco

Recep Tayyip Erdogan, presidente della Turchia soprannominato, non a torto, "il sultano", cambia i governatori della banca entrale come Maurizio Zamparini cambiava i presidenti delle sue squadre di calcio.

L'ultimo a essere messo alla porta, Naci Agbal, è durato poco più di quattro mesi. Poi ha avuto la malaugurata idea di aumentare il tasso di riferimento di 200 punti base in un colpo solo, portandolo dal 17 al 19 per cento, allo scopo di cercare di contenere l'inflazione dei prezzi al consumo, che viaggia al 16 per cento. Oltre che sostenere la lira turca, moneta non proprio apprezzata dal mercato. Quando il sultano cominciò ad avere potere in Turchia, nel 2003, bastavano 1,6 lire turche per un dollaro; oggi ne servono circa 8.

Non è l'unico rialzo dei tassi del governatore uscente, dato che in cinque mesi il tasso di riferimento è passato dal 10,25 al 19 per cento, favorendo un recupero dai minimi della lira turca.

Evidentemente troppo per il sultano, che ha quindi cambiato il terzo governatore in meno di due anni. Al suo posto Erdogan ha nominato Sahap Kavcioglu, che qualche settimana fa aveva scritto:

"Mentre nel mondo i tassi di interesse sono vicino allo zero, scegliere di alzare i tassi non risolverà i nostri problemi." 

Kavcioglu, neo-fisheriano, ritiene che per ridurre l'inflazione sia necessario abbassare i tassi di interesse, non alzarli. Musica per le orecchie del sultano.

Detto che la manipolazione monetaria, di cui la determinazione dei tassi applicati alle operazioni di politica monetaria con le banche e alle riserve di queste ultime è lo strumento classico, andrebbe evitata, sostenere che l'aumento dei tassi generi più inflazione è assurdo e può essere creduto solo da chi non ha una conoscenza del funzionamento della moneta.

La (non) logica del neo governatore consiste nel ritenere che l'aumento del costo dell'indebitamento connesso al rialzo dei tassi di interesse porta a un aumento dei prezzi. La qual cosa sarebbe possibile nel breve termine solo ipotizzando un mercato con poca concorrenza e domanda dei beni relativamente anelastica. Non il caso generale. A medio termine prevarrebbe comunque la tendenza al contenimento dei prezzi dovuta alla riduzione dell'espansione del credito.

Di certo chi si indebita, e il sultano come capo di Stato lo fa abbondantemente, preferisce tassi bassi possibilmente negativi, se non in termini nominali, almeno in termini reali. 

Nulla è gratis, però: il conto va a carico dei creditori e dei percettori di redditi nominali fissi. E quando le manovre di lassismo monetario sono fatte in modo plateale come in certi Paesi africani, sudamericani o nella stessa Turchia (nonché come molti sognano fosse fatto in Italia, rimpiangendo gli anni Settanta), la svalutazione della moneta finisce per ritorcersi contro anche ai debitori cosiddetti sovrani, che a un certo punto non riescono a ottenere credito nella propria moneta.

Non resta che attendere: il neo governatore abbasserà i tassi e il sultano (forse) sarà soddisfatto. Sul resto dei turchi avrei qualche dubbio.

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