Scorie - La “Corazzata Potëmkin” dei giorni nostri

In quell'affresco delle vicende (non solo) aziendali italiane tanto divertente quanto realistico che è rappresentato dai primi due film con Paolo Villaggio nei panni del ragionier Fantozzi, una costante è la presenza di un dirigente che impone ai dipendenti una propria passione, sia essa il cinema d'autore del professor Riccardelli o il biliardo del direttore conte Catellani.

I dipendenti, poi, da buoni italiani medi, gareggiano nel mostrare servilismo allo scopo di guadagnare le simpatie del capo nella speranza di ottenere una progressione di carriera.

Nelle realtà aziendali odierne, soprattutto nelle imprese non piccole, imperversa la figura del responsabile delle risorse umane (HR manager, si autodefiniscono per darsi un tono internazionale), che ammorba l'esistenza dei colleghi, soprattutto se a capo di strutture più o meno numerose, imponendo ore e ore di attività che sono l'equivalente fantozziano della visione coatta della "Corazzata Potëmkin" anche quando gioca la nazionale.

Negli ultimi anni vanno per la maggiore mindfulness e mental coaching, pratiche sulle quali non avrei nulla da obiettare se fossero svolte volontariamente da ogni individuo, ma che ritengo indigeste se, di fatto, imposte come "formazione obbligatoria". Il lavoro da remoto dell'ultimo anno ha fatto rincarare la dose agli ammorbatori dell'esistenza altrui di cui sopra, a loro dire per gestire lo stress e la difficoltà a stabilire limiti all'orario di lavoro e alla necessaria "disconnessione".

Emblematico del frasario dell'HR Manager sono dichiarazioni del tipo:  

"Nella nuova normalità la mindfulness entrerà nel paniere di servizi di digital detox, funzionali alle nuove modalità di lavoro", perché è "un'esperienza che favorisce la fiducia in sé stessi, la determinazione, una migliore gestione dell'ansia e più serenità. In pochi anni da pratica di nicchia è diventata una vera abitudine per executive e professionisti di alto livello. Non è una pratica religiosa ma è una pratica che aiuta l'automanagerialità. Serve a rendere le persone più responsabili. Insegna ad osservare, astenendosi dal giudizio e insegna una certa trasparenza emotiva."

Non ho la pretesa che la mia esperienza personale abbia una significatività statistica, ma non ho mai incontrato nessun collega o conoscente che, al di là delle dichiarazioni a fine corso (che rispecchiano l'attitudine servile o semplicemente tesa a evitare discussioni che richiamavo in precedenza), fosse entusiasta delle sedute obbligatorie di mindfulness. Né che diventasse un assiduo praticante. Perché ognuno trova il proprio modo per recuperare, se necessario, la serenità.

Lo ripeto: se queste pratiche fossero svolte volontariamente, non avrei nulla da obiettare. Al contrario, se inserite in un programma di formazione obbligatoria, diventano come la "Corazzata Potëmkin", ossia qualcosa che piace a chi la impone agli altri ma che agli altri può sembrare, anche se non lo dicono a voce alta, una "cagata pazzesca". 

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