Scorie - Respirando Keynes

Torno su un argomento sul quale mi sono soffermato più volte negli ultimi mesi, perché pare proprio che il motto che va per la maggiore sia diventato "non possiamo non dirci keynesiani".

Già lo era quando, nel 2020, con la diffusione del Covid-19 venne sospeso ogni vincolo sui conti pubblici e fu trovata l'intesa sul Next Generation Eu. 

Per molti, soprattutto a sud delle Alpi, quello fu una sorta di via libera per uno statalismo di ritorno che era stato sopito a fatica negli anni precedenti. Per altri fu l'occasione per credere che potesse essere archiviato l'effetto palla di neve che ha caratterizzato il debito pubblico italiano ben più di quello di altri Paesi, ossia la tendenza del debito ad aumentare in rapporto al Pil a causa di un costo per interessi superiore alla crescita nominale del Pil.

La nascita del governo Draghi ha rafforzato le convinzioni dei tanti che credono che l'Italia possa rinascere come ai tempi del Piano Marshall.

Tra costoro inserirei Guido Maria Brera, gestore e cofondatore di Kairos con la passione per la scrittura, secondo il quale:

"C'è uno spirito neo-keynesiano nell'aria. Investimenti pubblici, ricerca di una crescita superiore al tasso a cui ci si indebita. Sono dietro le spalle gli imponenti tagli dell'austerity. Si tornano a respirare le riflessioni di John Maynard Keynes."

Premesso i tagli sono stati meno imponenti di come spesso sono descritti e che molte voci di spesa tagliate sono state più che compensate dall'aumento di altre voci di spesa, di qualità magari scadente ma politicamente utile ai governanti di turno, in questa fase storica qualsiasi modello, anche rudimentale, può fare apparire ex ante che una gran quantità di investimenti abbia un valore attuale netto positivo, dato il bassissimo costo del debito.

Il problema, però, è duplice. In primo luogo, il costo del debito è artificialmente basso per via della politica monetaria ultraespansiva e basterebbe un timido tentativo di ridurre gli stimoli per generare un crollo della sostenibilità di una gran quantità dei debiti contratti negli ultimi anni, tanto a livello privato quanto a livello pubblico.

In secondo luogo, anche ammesso che Draghi e le persone da lui scelte fossero onniscienti (e neppure loro lo sono) nella selezione degli investimenti da finanziare, ci sarebbe poi da passare da Excel all'esecuzione. E qui non si può dire che esistano i presupposti per essere particolarmente ottimisti.

Per di più, credo che il parallelo con il Piano Marshall non tenga in considerazione che le risorse oggi sono superiori, ma lo sono anche molto più che proporzionalmente i fattori ostativi all'esecuzione dei progetti rispetto ad allora. Oltre a un welfare state che assorbe molte più risorse.

In Italia le riflessioni di Keynes si sono sempre respirate, talvolta a pieni polmoni e altre volte, per via di vincoli esterni, in misura limitata. Purtroppo la storia non induce all'ottimismo e il più grande abbaglio credo rischi di essere quello di poter dare per facilmente acquisibile in modo duraturo la fine dell'effetto palla di neve. 

Prospetticamente il pericolo valanghe sul debito resta elevato e a pagarne le spese non saranno solo i keynesiani de noantri. Molto meglio sarebbe ridurre il perimetro dell'azione statale e liberare l'attività privata da vincoli e tasse opprimenti.

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