Scorie - Parli di Europa e lasci stare i numeri
Ci sono letture che non forniscono mai uno spunto non dico originale, ma per lo meno non banale. Tra i primi posti in questa classifica io metto gli editoriali domenicali di Sergio Fabbrini sul Sole 24 Ore. Il quale solitamente porta la visione maistream sulle faccende europee e sul ruolo dell'Italia in Europa, ma domenica scorsa ha deciso di dedicarsi alle imminenti elezioni presidenziali statunitensi, ovviamente pendendo dalla parte di Joe Biden. O, per meglio dire, schierandosi contro Donald Trump.
Secondo Fabbrini la polarizzazione della società americana, che Trump avrebbe incrementato durante il suo mandato presidenziale, è dovuta anche a un aumento della diseguaglianza. Che ha un colpevole dai capelli arancioni.
"La defiscalizzazione introdotta da Trump ha a sua volta accentuato la diseguaglianza sociale (secondo l'indice GINI, l'ineguaglianza nel reddito delle famiglie è salita da 0,43 nel 1990 a 0,48 nel 2019), nonostante la crescita dell'occupazione da essa favorita prima della pandemia. Quest'ultima ha reso ancora più radicali le diseguaglianze nella società americana. Si consideri che più di un quarto dei deceduti per il Coronavirus-19 erano afroamericani, oppure che sono stati ospedalizzati 5 afroamericani per ogni bianco (pur rappresentando, gli afroamericani, il 13,7 per cento della popolazione totale). La de-fiscalizzazione, riducendo le risorse disponibili per i servizi pubblici, ha dunque esposto alla pandemia i ceti medio-bassi e le minoranze. Se si considera che più di 20 milioni di americani continuano ad essere senza copertura sanitaria, si può capire perché la pandemia è stata come benzina gettata sul fuoco."
Premesso che utilizzare solo l'indice di Gini per analizzare una società è riduttivo, se uno non conoscesse la storia degli Stati Uniti, leggendo quanto scrive Fabbrini potrebbe farsi l'idea che Trump sia al potere dal 1990, battendo alcuni satrapi da ex repubbliche sovietiche come il kazako Nursultan Nazarbaev, in carica dal 1990 a 2019 (il quale, però, lasciando la presidenza ha ottenuto che la capitale Astana prendesse il suo nome) o il bielorusso Aljaksandar Lukaschenko, in carica dal 1994 e recentemente rieletto per la sesta volta, ancorché scatenando proteste e accuse di brogli.
Come è noto, Trump è al suo primo mandato, ed è entrato alla Casa Bianca a gennaio 2017, quando l'indice di Gini era già a 0,48. Interessante, poi, notare come lo stesso indice, riferito alla sola popolazione nera, abbia raggiunto il massimo (ossia il massimo della disuguaglianza) nel gennaio 2016, quando stava iniziando l'ultimo anno della presidenza Obama, che ha governato per due mandati.
Sarà forse una coincidenza, ma da quando gli Stati Uniti hanno abbandonato l'ultimo legame tra il dollaro e l'oro (agosto 1971), l'indice di Gini è salito costantemente. Nel 1970 era attorno a 0,39. E sarà una coincidenza anche il fatto che dalla seconda metà degli anni Novanta l'incremento sia più accentuato.
Probabilmente, oltre che alla politica fiscale, occorre guardare anche a cosa è stato fatto a livello di politica monetaria e agli effetti della stessa. Ma in tal caso si farebbe fatica a dare tutta la colpa dei mali americani al (seppur criticabile, ma per altri motivi) presidente dai capelli arancioni.
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