Scorie - Tafazzi tax
Più passano le settimane, più consistenti sono gli elementi per confermare che alle elezioni presidenziali statunitensi dello scorso novembre la cosa buona non sia stata la vittoria di Trump, ma la sconfitta del carrozzone sinistrorso che ha scaricato troppo tardi un Joe Biden sempre meno lucido (lo so, sto esagerando con gli eufemismi, chiedo venia) per sostenere una Kamala Harris che per quattro anni era stata all'ombra dello stesso Biden e non aveva nulla di realmente diverso, politicamente parlando, da offrire agli elettori.
Ciò che accomunava le due proposte politiche era l'assenza di una qualsivoglia intenzione di ridimensionare il ruolo del governo e invertire una trariettoria ormai fuori controllo del debito federale, a suon di deficit annuali per oltre 6 punti di Pil. Cambiava la composizione di quel deficit, ma quasi null'altro.
Dovendo rifinanziare oltre 11mila miliardi di dollari di debito tra il 2025 e il 2026, il tutto anche per via della politica di accorciamento delle scadenze perseguita dall'amministrazione precedente e mantanuta da quella attuale (roba da Italia anni 70-80 del secolo scorso), non sarebbe interesse di un emittente minacciare randellate fiscali a chi detiene circa il 30% del debito, ossia investitori esteri.
Eppure Trump ha pensato di introdurre, in quello che ha chiamato Big Beautiful Bill, una norma intitolata "Enforcement of Remedies Against Unfair Foreign Taxes", che attribuisce al Presidente il potere di applicare una tassa dal 5% fino al 20% agli investimenti di stranieri in attività USA considerando quanto i Paesi di provenienza sono "ingiusti" nella tassazione verso gli americani secondo una lista periodicamente aggiornata dal Tesoro.
Il gettito atteso è di 116 miliardi di dollari in 10 anni, mentre un aumento dei rendimenti di un punto percentuale aggiungerebbe, secondo alcune stime, un costo per interessi di circa 100 miliardi in un solo anno.
I trumpiani sostengono che si tratta di uno strumento negoziale, al pari delle altalenanti sparate sui dazi. Il problema è che queste mosse acuiscono l'incertezza e, di conseguenza, aumentano i premi al rischio, ossia il costo per gli emittenti, Tesoro in primis.
L'hanno soprannominata "revenge tax", ma a me pare più appropriato "Tafazzi tax".
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