Scorie - Quale diritto al conto corrente?
Valeria Genesio, che presiede Agedi, una società che si occupa di immobili, ha sentito l'esigenza di scrivere un articolo pubblicato sul Sole 24 Ore per deninciare che "il diritto al conto corrente, di fatto, non è più un diritto".
Eppure al giorno d'oggi si tratta di "un bene primario, un prerequisito per vivere legalmente. Senza di esso non si può ricevere uno stipendio, pagare un affitto o accedere a prestazioni pubbliche essenziali. È la soglia minima di accesso del cittadino alla vita economica e alla società civile."
Ma, con "una frequenza crescente, individui e imprese si vedono rifiutare o revocare il conto corrente, nella maggior parte dei casi senza alcuna motivazione trasparente, sulla base di profilazioni opache o di automatismi estremamente cautelativi da parte degli uffici compliance degli istituti bancari."
Ovviamente colpa delle banche, che adducono per lo più generiche giustificazioni legate al rischio di riciclaggio. E anche, forse, della loro privatizzazione?
"A partire dagli anni 90, con la stagione delle grandi privatizzazioni avviata nel nome dell'efficienza e del libero mercato, il sistema bancario europeo – e italiano, in particolare – è passato da infrastruttura pubblica a rete di operatori privati. Una trasformazione radicale, che ha modificato l'equilibrio tra interesse generale e logiche di profitto. Poi, dopo l'11 settembre 2001, la sicurezza è diventata la nuova priorità globale: normative sempre più stringenti in materia di antiriciclaggio e antiterrorismo hanno progressivamente e inopinatamente trasferito sulle banche e su altri soggetti privati compiti propri dello Stato. Le banche si sono così ritrovate ad esercitare, de facto, una funzione pubblica di controllo, senza però dover rispondere ai principi e ai limiti dell'azione pubblica. Le banche private – così come gli intermediari immobiliari, i notai e i liberi professionisti – sono state sostanzialmente investite dagli Stati della responsabilità in outsourcing di attuare normative in ambiti cruciali come l'antiriciclaggio, la lotta al terrorismo, la prevenzione della corruzione. Il risultato è che le banche, pur essendo enti privati a scopo di lucro, si trovano oggi ad esercitare obtorto collo una funzione pubblica priva di contrappesi. Eppure, un soggetto che svolge un ruolo di tale rilevanza pubblica dovrebbe farsi garante dell'inclusione economica; invece, questa viene sistematicamente sacrificata sull'altare dell'interesse privato o della tutela del proprio profilo di rischio. Senza considerare che, alla fine, i costi delle poderose strutture di compliance messe in piedi per attuare tali normative ricadono, come sempre, sul cittadino."
Ed ecco le soluzioni.
"Alcune direttrici possibili. Anzitutto, rendere esigibile il diritto al conto come un diritto soggettivo pieno, per i cittadini e per le imprese, con una forma di garanzia pubblica o la vigilanza da parte di un'autorità indipendente. In secondo luogo, limitare la discrezionalità bancaria, onde evitare il rischio che, brandendo la spada dell'antiriciclaggio, si finisca per escludere dal sistema soggetti pienamente legittimati ad accedervi. Al riguardo si potrebbe imporre l'obbligo di motivazione per ogni rifiuto o chiusura (in linea con le ultime raccomandazioni europee) e prevedere un meccanismo di ricorso amministrativo celere. Da ultimo, è urgente regolamentare una volta per tutte le fonti di profilazione, subordinando l'uso di banche dati reputazionali o di altri strumenti privati di intelligence finanziaria a principi di trasparenza, verifica delle fonti, aggiornamento e diritto al contraddittorio."
Ricapitolando: le banche sono obbligate per legge a svolgere compiti, come la verifica e l'eventuale segnalazione del rischio di riciclaggio, senza ricevere per questo alcun compenso. Anzi, rischiando pesanti sanzioni. I costi ricadono sui clienti, ma evidentemente anche sugli azionisti, considerando che ci sono strutture dedicate che comportano notevoli investimenti in software e persone. Tutte risorse che non sono frutto di investimenti volontari, ma, appunto, di obblighi posti dalla legge. Ciò nonostante dovrebbero essere spesi altri soldi (che poi il conto sia a carico dei clienti, degli azionisti, o dei pagatori di tasse pare non importare) per arrivare a garantire a tutti quanti di avere un conto corrente. Non si sa quando sarebbe, a questo punto, legittimo opporre il diniego da parte di una banca.
Il presupposto è che non possa esserci libertà contrattuale, evidentemente. E ovviamente liberare soggetti privati dal dover svolgere attività per conto delle pubbliche autorità non è neppure preso in considerazione. Ah, maledette privatizzazioni...
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