Scorie - Orgogliose scelte di marketing o politiche?

Beth Kowitt si occupa su Bloomberg del dietrofront di molte imprese dal sostegno al mondo LGBTQ (so che non è l'ultima versione dell'acronimo, ma non è semplice restare aggiornati e, francamente, non è neppure una mia priorità), ritenendo che ciò "non abbia senso economico".

Negli anni scorsi c'era la corsa a esibire loghi ricolorati con l'arcobaleno durante il mese del Pride, oltre a fare linee di prodotto o campagne di marketing dedicate. Adesso, in pieno regime MAGA, le imprese tolgono il loro sostegno, per non urtare Trump.

Scrive Kowitt:

"La maggior parte delle persone non si illude che un'azienda che si lancia sul carro del Pride sia un segno di profonda attenzione per i diritti della comunità LGBTQ. Piuttosto, è una decisione aziendale che ritiene che il marketing rivolto e l'accoglienza delle persone LGBTQ siano più redditizi dell'alternativa. Alcuni lo considerano uno sfruttamento e un'accondiscendenza, altri lo vedono come una normalizzazione della comunità queer, trasformandola in un'altra fascia demografica commercializzabile come tutti gli altri."

Non si può non notare l'asimmetria. Saltare sul carro del Pride gli anni scorsi era una decisione di marketing, scendere da quel carro è una decisione (di codardia) politica. 

A me pare, al contrario, che nella maggior parte dei casi siano emtrambe decisioni politiche. Fino all'anno scorso, in pieno delirio woke, saltare su quel carro significava essere accondiscendenti verso un mondo politicamente potente. Salvo poi constatare, soprattutto in alcuni casi (vedi, per fare un solo esempio, Bud), che i clienti non erano contenti. E neppure gli elettori, da quanto è risultato lo scorso novembre. E quindi adesso sono scesi dal carro.

D'altra parte se fosse stata una decisione di marketing vincente, non avrebbe senso scendere dal carro del Pride.

Kowitt sottolinea che "quasi il 10% degli americani adulti e quasi il 30% della generazione Z si identifica LGBTQ".

Prendo per buoni quei numeri, ma vuol sempre dire, in entrambi i casi, una parte ampiamente minoritaria del pubblico in generale.

Poi per certi prodotti o servizi la clientela potenziale potrà essere LGBTQ per percentuali superiori, forse anche maggioritarie. Dubito che, in quei casi, le aziende cercherebbero di allontanare le simpatie dei loro clienti potenziali. Peraltro, per lo stesso motivo ci sono prodotti o servizi la cui clientela tipicamente non è LGBTQ neppure per il 10%. 

Tutto ciò detto, nel libero mercato ogni impresa dovrebbe essere libera di fare le scelte che soddisfino almeno gli azionisti di maggioranza. Che si tratti di scelte di marketing commerciale o anche di marketing politico.

Ma considerare scelta di marketing il sostegno alla causa di una fetta di clientela potenziale che rappresenta mediamente una netta minoranza della popolazione e una scelta politica fare marcia indietro a me pare una stupidaggine.

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