Scorie - La soluzione per il welfare in crisi non è il neo statalismo


Come ogni anno si avvicina il Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione, e Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, ne approfitta per tessere le lodi del neo statalismo.

Sì, perché il "turbocapitalismo" ha fallito. Infatti, come ricorda Oxfam, nel 2024 la ricchezza dei miliardari "è cresciuta di duemila miliardi di dollari, pari a circa 5,7 miliardi di dollari al giorno, con un ritmo tre volte superiore all'anno precedente. In pratica, ogni settimana, in media, sono "nati" quattro nuovi miliardari. Al contrario, il numero delle persone che vive sotto la soglia di povertà (6,85 dollari al giorno) è rimasto invece invariato dal 1990: 3,5 miliardi."

Sarebbe bello se non ci fosse povertà, ma se il numero di poveri è rimasto costante a 3,5 miliardi, andrebbe notato che nel 1990 la popolazione mondiale era circa 5,3 miliardi, mentre oggi sul pianeta siamo 8,2 miliardi.

Prosegue Vittadini:

"I dati delle disuguaglianze disastrose del mondo di oggi dovrebbero essere il segnale inequivocabile del fallimento di questo modello di sviluppo, con una globalizzazione guidata in modo sbagliato e il ruolo decisivo della finanza che detta i tempi di uno "sviluppo" immaginario. Il sistema finanziario ad esempio dovrebbe svolgere un ruolo attivo nel sostenere la crescita economica e risolvere problemi sociali e ambientali, non solo massimizzare i profitti. Oggi la finanza dovrebbe essere ripensata per diventare uno strumento a supporto dell'economia reale e del lavoro. È pensabile che gli Stati e le società di ogni tipo possano continuare a tollerare questo tipo di capitalismo?"

Non entro nel merito su cosa dovrebbe fare il sistema finanziario, ma una cosa è certa, si tratta di un settore iperregolamentato. E le regole le emanano Parlamenti, governi e autorità di vigilanza pubbliche. Si potrà sostenere che tutti questi organismi sono "catturati" dai soggetti regolati, ma sono pur sempre loro a scrivere le regole. Quindi sono loro a fallire, direi.

La soluzione per Vittadini, che sembra mandare a memoria le tesi di Mariana Mazzucato?

"Pensando alla riforma di questo capitalismo, occorre rimetter a tema il ruolo dello Stato come investitore, regolatore e capace di interventi più innovativi nella stessa produzione industriale. In fin dei conti l'Europa ha cominciato a comprenderlo, seppur in modo parziale. La scelta della sostenibilità (pur appesantita da gravi difetti ideologici), il Next generation Eu, dopo la pandemia non sono forse timidi tentativi di riscoprire la necessità di una politica economica, cioè l'intervento pubblico sul mercato?"

Probabilmente Vittadini ha usato la formula "scelta della sostenibilità" perché provava vergogna nell'usare "Green Deal" e andrebbe chiesto ad azionisti e amministratori delle case automobilistiche, per esempio, quanto sia stato positivo questo intervento pubblico. Quanto al Next Generation Eu, il bilancio definitivo andrà fatto quando saranno stati ripagati i debiti, ma non sarebbe stato necessario nessun programma del genere se non ci fossero stati i lockdown. I quali furono una scelta politica, non un blocco volontario da parte dei produttori (ovviamente esclusi quelli le cui attività erano ritenute essenziali, perché costoro invece potevano essere esposti al virus).

Però, "non aiuta il fatto che il bilancio europeo abbia dimensioni minime rispetto al prodotto lordo comunitario. Sono troppi i politici europei che guardano con prudenza o addirittura con scetticismo la prospettiva di un progressivo aumento del bilancio comunitario a scapito dei bilanci nazionali."

Posto che non farebbe i miracoli un bilancio comunitario, la faccenda è che il bilancio comunitario non sarebbe a scapito di quelli nazionali. Finora non è mai stato così e nulla lascia intendere che in futuro andrebbe diversamente.

Ma ecco il punto più allucinante:

"In questo scenario c'è un problema che diventa sempre più grave. La riduzione che questo sistema economico sta facendo del welfare universalistico. In Europa, in diversi modi, prevale questa concezione, cioè un modello dove lo Stato deve garantire benessere e protezione sociale, grazie a un forte intervento pubblico, secondo lo schema che due grandi economisti come Beveridge e Keynes realizzarono nel dopoguerra. Ma da quarant'anni questo sistema viene attaccato guardando sempre più a quello americano dove prevale un modello selettivo, in cui prevalgono le regole del mercato con l'intervento predominante del settore privato, e con lo Stato ridotto a "rete di sicurezza minima" per i più poveri e una minore redistribuzione fiscale. In Europa sistemi di protezione sociale, pensionistici in particolare, hanno il fondamentale compito di garantire benessere e coesione, ma anche sicurezza e stabilità dello sviluppo e minore disuguaglianza di reddito grazie a un welfare più esteso. Oggi molti in Europa temono che l'aumento per le spese militari, o di deterrenza, avvenga proprio a scapito del welfare."

E qui Vittadini richiama il ruolo che possono avere corpi intermedi e realtà non profit nel sostegno al welfare. Ben venga tale sostegno, ma il problema di fondo del welfare universalistico, a prescindere da considerazioni sia sulle sue basi, sia sulle sue comunque indiscutibili degenerazioni, è che si tratta, a livello strutturale, di uno schema Ponzi. E con popolazioni che invecchiano, questi schemi si avviano all'implosione, perché il loro peso su chi (forzatamente) contribuisce diventa insostenibile.

Questo non c'entra nulla con il capitalismo da riformare. Sta via via venendo a mancare la ricchezza da redistribuire a mezzo welfare state. Credere che una ondata di neostatalismo sia la soluzione significa non aver alcuna memoria della seconda metà del secolo scorso.


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