Scorie - L'inflazione non è come il colesterolo

In un articolo in cui dà conto della enorme mole di debito in circolazione, pari a tre quarti del Pil globale, Vito Lops scrive, tra le altre cose, che "l'inflazione è come il colesterolo. C'è quella buona (da domanda) e quella cattiva (da offerta). Questo lineare schema di pensiero – che da tempo aiuta gli economisti a filtrare i dati sui prezzi dei beni e servizi – è diventato più complesso nell'era Covid. La pandemia con i primi lockdown ha mandato KO tanto la domanda quanto l'offerta, creando uno scenario paragonabile a una guerra mondiale. In seguito le riaperture a macchia di leopardo hanno creato un forte disallineamento tra domanda (tornata tonica) e offerta, messa al palo dalla mancanza di scorte in magazzino e da problemi logistici e di produzione legati allo sviluppo di nuovi focolai e varianti del virus. Sono questi enormi colli di bottiglia creatisi in alcuni settori chiave (come quello dei chip, da cui dipende non solo la produzione di computer e smartphone ma anche di auto e molti altri beni) a creare i disagi più grandi e a lasciare incertezze sulla ripresa e sull'inflazione che verrà."

Il ragionamento di Lops e di buona parte degli economisti è una conseguenza dell'avere reso mainstream l'identificazione dell'inflazione con la crescita dei prezzi al consumo. La quale, invece, è una conseguenza dell'inflazione, fenomeno in realtà consistente nell'aumento dell'offerta di moneta.

Purtroppo il termine inflazione, al pari di diversi altri, ha subito uno stravolgimento nel corso del Novecento. Questo ha reso possibile, tra l'altro, considerare l'inflazione buona o cattiva a seconda della presunta causa scatenante. Un po' come per il colesterolo, appunto.

Ma anche se uno accetta la definizione mainstream, ragionando dovrebbe rendersi conto che, essendo i prezzi l'espressione della quantità di moneta necessaria per ottenere in cambio beni e servizi, non è possibile assistere a un aumento generalizzato dei prezzi in assenza di un precedente aumento della quantità di moneta.

Questo dovrebbe poi far riflettere sull'attribuzione di un valore benefico all'inflazione. Se l'aumento generalizzato dei prezzi è riconducibile a un precedente aumento della quantità di moneta (che nei sistemi monetari attuali è creata dal nulla), lo stesso ragionamento dovrebbe portare a concludere che l'effetto finale non sia benefico, se non per coloro che per primi beneficiano dell'aumento della quantità di moneta, il cui potere d'acquisto aumenta. A discapito di chi ne beneficia successivamente (o mai).

In ultima analisi, quindi, l'inflazione (o quella che sarebbe meglio considerare una sua conseguenza) non fa altro che redistribuire la ricchezza reale, al pari della tassazione. E, al pari della tassazione, può essere considerata benefica solo se si appartiene alla categoria dei consumatori netti di tasse.

Non c'è motivo, però, per considerarla benefica per chiunque. Al contrario, essendo una redistribuzione che non origina da scambi volontari, dovrebbe essere considerata negativamente. 

Diversamente dal colesterolo, quindi, non c'è nessuna inflazione buona.


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