Scorie - Cosa resta se si abolisce il paradiso
Ho già avuto modo di commentare la proposta dell'amministrazione statunitense di creare una minimum tax globale per le imprese. Si tratterebbe, in sostanza, di creare un cartello fiscale tra Stati. Il tutto nel nome dell'equità, secondo i proponenti. Se il progetto avesse successo, in sostanza ci sarebbe un incremento dell'aggressione al diritto di proprietà per finanziare l'ennesima espansione strutturale di spesa pubblica.
Come è noto, in Italia una proposta del genere è ampiamente apprezzata da pressoché tutti gli schieramenti politici. Dell'argomento si è occupato il già ministro dell'economia Giovanni Tria in uno dei suoi consueti articoli del sabato sul Sole 24 Ore.
Tria rileva che la minimum tax per le imprese divide i Paesi "considerati paradisi fiscali dagli altri. Quindi lo scontro passa anche all'interno dell'Unione europea, dove da tempo si discute sulla necessità di combattere una competizione fiscale sleale condotta da Irlanda, Paesi Bassi, Lussemburgo e alcuni altri nei confronti degli altri Paesi dell'area euro. Il conflitto interno all'Europa, e in particolare interno all'area euro, è amplificato da una questione particolare per la quale è lecito parlare di competizione sleale. Da una parte l'adozione di una moneta comune impedisce la possibilità di una svalutazione competitiva, cioè diretta a sottrarre commercio al vicino in un gioco a somma zero, dall'altra è consentita la competizione fiscale. Il gioco che ne risulta è a carte truccate perché mentre a una svalutazione competitiva è possibile reagire con una corrispondente svalutazione, a una concorrenza fiscale di piccoli Paesi che attraggono quote sproporzionate dei profitti delle multinazionali non è possibile reagire da parte di quelli più grandi che hanno problemi vincolanti di bilancio."
Capisco che per chi ha fatto il ministro dell'Economia in un Paese intossicato di spesa pubblica e già ad alto debito possa essere frustrante la ricerca di risorse per cercare di far quadrare i conti. Capisco anche che ciò renda queste persone indifferenti al cercare di risolvere la questione nel modo in cui, come avrebbe detto Maffeo Pantaleoni, lo risolverebbe un imbecille, ossia mediante nuove tasse.
Trovo tuttavia del tutto inconsistente, ancorché diffusa e reiterata, l'accusa di concorrenza sleale rivolta dagli Stati a elevata tassazione, e ciò nonostante sempre a corto di gettito fiscale, nei confronti dei Paesi che hanno minori pretese e, per questo, attraggono le imprese.
Va anche detto che la stessa svalutazione della moneta rappresenta una manovra di tipo fiscale, quindi redistributiva, degna del peggiore approccio mercantilista che, essendo una base del keynesismo, è profondamente radicata nella mentalità di buona parte degli economisti italiani.
E' un dato di fatto che i Paesi che hanno una minore tassazione per le imprese hanno anche una spesa pubblica in rapporto ai rispettivi Pil inferiore (e non di poco) a quella di chi si lamenta della loro concorrenza sleale.
Lo stesso Tria fa riferimento ai "problemi vincolanti di bilancio", che tuttavia non sono necessariamente legati alle dimensioni del Paese, ma a quanta spesa pubblica i governi del Paese hanno deciso di fare.
Ciò di cui credo si possa essere ragionevolmente certi è che l'entusiasmo per la proposta statunitense di introduzione di una minimum tax globale dimostra che la spesa pubblica sia considerata una sorta di variabile indipendente, e che la mentalità prevalente, ahimè, sia sostanzialmente convinta che i "problemi vincolanti di bilancio" non vadano risolti contenendo le uscite, bensì adeguando al rialzo le entrare. La riduzione della concorrenza è un mezzo ideale per raggiungere il fine.
Per chi è dall'altra parte, ossia quella dei pagatori di tasse, vale la pena di ricordare che senza paradisi fiscali resterebbe solo l'inferno, dato che il purgatorio, essendo abolito il paradiso, non avrebbe ragione di esistere.
Commenti
Posta un commento