Scorie - Assistenzialismo tra forma e sostanza

Intervistato dal Sole 24 Ore, Giulio Prosperetti, giudice costituzionale, ha fatto diverse affermazioni che non condivido. Tra le quali questa:

"È ormai opinione comune, ne ha parlato anche il Papa, quella secondo cui, lo Stato deve assicurare il lavoro e non un mero assistenzialismo. Il problema è salvaguardare la dignità dell'uomo e il suo ruolo nella società. Ho sempre sostenuto che rappresentava un grave errore aver rimesso a paesi terzi tutto quel settore manifatturiero non particolarmente competitivo. La difficoltà sull'approvvigionamento delle mascherine è sintomatico del problema. Si dovrebbe pensare ad aiutare in via generale produzioni anche non competitive ma utili a garantire il lavoro e un equilibrato apparato produttivo. Sono contrario alla specializzazione sul piano globale delle diverse aree produttive, penso che ogni paese debba essere autonomo in ordine alle produzioni essenziali."

Quando si parla di una questione economica, esordire citando il Papa sembra ormai un must in Italia, ovviamente se si vuole sostenere un punto di vista totalmente contrario al libero mercato.

Devo dire che non trovo una grande differenza di sostanza tra assicurare il lavoro e il mero assistenzialismo. Perché il problema è che il lavoro non è una variabile indipendente (come lo era il salario per i sindacalisti di 4-5 decenni fa). Per esempio, fornire il reddito di cittadinanza è indubbiamente una forma di assistenzialismo. Tuttavia, pretendere che aziende decotte mantengano lo stesso organico dello stato pre-crisi è diverso nella forma, ma non nella sostanza.

I casi più emblematici sono quelli di Alitalia e della ex Ilva. In quest'ultimo caso, per esempio, la maggioranza di governo (allineandosi ai sindacati) va sostenendo che il numero dei dipendenti deve sostanzialmente restare immutato e a tale scopo l'impianto deve puntare a produrre 8 milioni di tonnellate di acciaio all'anno. Ora, il problema è che la produzione ha senso se poi quanto si è prodotto si riesce a vendere, possibilmente ricavando più di quanto si è speso. Se l'ex Ilva fosse in grado di vendere con profitto, ancorché minimo, 8 milioni di tonnellate di acciaio all'anno, non sarebbe in crisi, evidentemente. 

Pretendere di mantenere inalterato il numero di posti di lavoro, mediante l'intervento dello Stato, è assistenzialismo sotto una forma diversa dall'erogazione del reddito di cittadinanza. Perché, in ultima analisi, una parte più o meno consistente di quegli stipendi sarà, di fatto, consumo di tasse.

Che, poi, prendendo a calci principi abbastanza pacifici da David Ricardo in avanti, la soluzione ipotizzata consista nel ritorno all'autarchia, aiutando "produzioni anche non competitive ma utili a garantire il lavoro e un equilibrato apparato produttivo", a me pare che non si sbagli nel prevedere che ciò peggiorerebbe il già non ottimale stato di salute dell'economia italiana.

Ogni attività che non sia oggetto di scambi volontari comporta una più o meno consistente redistribuzione da pagatori a consumatori di tasse. Anche chi volesse soprassedere sul lato etico della faccenda, dovrebbe almeno rendersi conto che, parafrasando la Lady di ferro, prima o poi i soldi dei pagatori di tasse finiscono.


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