Scorie - Forever Keynesians

Come già nel 2008, anche in questo 2020 sono in molti a considerare necessario un insieme di politiche keynesiane per far fronte alle conseguenze della pandemia da Covid-19.

Noah Smith, in un pezzo su Bloomberg Opinion, critica coloro che ritengono che il New Deal di Roosevelt non fu risolutivo della Grande Depressione iniziata nel 1929.

Come tutti i keynesiani, Smith ritiene che l'unico errore di Roosvelt fu tentare una riduzione degli stimoli nel 1937.

Come da tradizione keynesiana, poi, Smith non si interroga su cosa precedette l'implosione del 1929. Semplicemente guarda alla spirale deflattiva che si innescò, concludendo che c'era un problema di domanda aggregata e di politica monetaria restrittiva. E ovviamente la cosa da fare era spendere in deficit con tanto di politica monetaria espansiva.

Quindi plaude all'abbandono della convertibilità del dollaro in oro nel 1933. Ovviamente nulla dice del fatto che, per "convincere" gli americani, Roosevelt rese fuorilegge il possesso di oro.

Secondo Smith, "è notevole il fatto che prima un Paese abbandonò il gold standard, più rapida fu la ripresa."

Nulla di nuovo, in verità. D'altra parte uno dei suoi punti di riferimento è Paul Krugman.

Tuttavia, oltre a sviluppare fenomeni quali il crony capitalism (il nostro corporativismo di origine fascista), il New Deal non fece altro che iniettare una massiccia dose di statalismo, senza rimuovere le cause della depressione.

Come documentato (magistralmente) da Murray Rothbard in "America's Great Depression", gli anni Venti del secolo scorso furono un esempio da manuale di espansione creditizia in regime di riserva frazionaria, in un contesto di politica monetaria accomodante. I prezzi al consumo crescevano a un ritmo modesto, grazie a fattori disinflattivi che, senza espansione monetaria, avrebbero determinato una riduzione dei prezzi stessi, mentre i prezzi delle attività reali e finanziarie aumentavano in modo vertiginoso (l'indice S&P 500 ebbe un incremento circa pari al 700% tra il 1921 e il crollo del 1929; dinamiche non troppo diverse da quelle del decennio appena trascorso).

Quella monetaria (ma non nel senso restrittivo) fu l'origine della Grande Depressione. Concentrarsi sull'evento che diede il via allo scoppio della bolla e ipotizzare che il problema fu la politica monetaria restrittiva significa (come sempre) non valutare cosa ci fu prima di quegli eventi.

Tra l'altro, le politiche che poi costituirono il New Deal furono iniziate, prima di Roosevelt, da Herbert Hoover.

Non dubito che quella cara ai keynesiani di ogni epoca continuerà a essere la lettura prevalente di quegli anni. Non dubito neppure che ogni volta che ci sarà una crisi si aumenterà il ricorso all'armamentario keynesiano. Il che mi induce ad avere la sgradevole sensazione che ogni crisi apparentemente superata avrà gettato i germi di quella (peggiore) successiva.

Finora, purtroppo, è sempre andata così.

 "Se io domenica mattina vado a votare - ha sottolineato il Cardinale- è perché sono convinto che esista un bene comune che riguarda te, riguarda tutti noi. Siamo un 'noi' di cui dobbiamo tenere conto. E mi fa paura, invece, questo atteggiamento individualistico, in fondo, di non scegliere. E, poi, quante nazioni ci sono nel mondo dove non si vota, dove c'è una testa che ha già pensato tutto... In fondo noi viviamo in una democrazia... E' un valore aggiunto anche la democrazia. In democrazia senti cose dritte, senti cose storte, senti cose che condividi e non condividi... Certamente tutti abbiamo il dovere di informarci, di farci una coscienza. Il voto è esprimere un giudizio".

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