Scorie - Attenti alle scelte coraggiose

Come molti altri, Donato Masciandaro ha commentato la recente sentenza della Corte costituzionale tedesca in merito al programma di quantitative easing della Bce.

Scrive Masciandaro:

"In termini di analisi economica, i giudici tedeschi hanno chiesto alla Bce di spiegare se, a partire dal 2015, nel definire e mettere in atto l'azione di politica monetaria coerente con il suo obiettivo statutario hanno tenuto conto degli effetti collaterali più generali che toccano altre politiche economiche, da quella fiscale a quella bancaria. Al di là delle implicazioni legali e istituzionali– su cui possiamo essere solo appassionati lettori dei commenti dei colleghi giuristi – la sentenza dei giudici di Karlsruhe pone un quesito a cui occorre dare una risposta. Il problema è che la risposta è facile se la politica monetaria è condotta con metodi convenzionali, mentre diventa insidiosa se i metodi non lo sono. E oggi la politica della Bce è completamente non convenzionale e continuerà a esserlo, fino a quando non si sa. Quindi occorre mettere dei punti fermi."

Ed ecco i "punti fermi".

"In tempi normali i punti fermi erano tre: la banca centrale deve essere indipendente; l'obiettivo prioritario è la stabilità monetaria; gli strumenti devono essere neutrali, nel senso di minimizzare gli effetti collaterali della politica monetaria. Nel caso della Bce, il Trattato ha definito la sua indipendenza dai politici nazionali e comunitari;l'obiettivo è stato definito dalla stessa Bce fin dall'inizio nella variazione dei prezzi al consumo; lo strumento – fino al fatidico gennaio 2015, quando inizia il programma messo nel mirino dai giudici tedeschi – era quello dei tassi di interesse. Quest'ultimo massimizzava la neutralità della politica monetaria, perché minimizzava i possibili effetti redistributivi, che passano attraverso i canali della redistribuzione tra cittadini, tra settori e tra generazioni. Quando cambiano i tassi di interesse nominali, i cittadini si possono dividere tra debitori e risparmiatori, e una categoria è felice quando l'altra è triste. Ma sono due categorie da tempo trasversali rispetto ai tradizionali comparti delle famiglie e delle imprese, quindi gli effetti distributivi sono stati tradizionalmente poco percepiti. Inoltre con un portafoglio della Banca centrale relativamente ridotto, fatto di titoli pubblici a breve termine, anche gli effetti settoriali apparivano trascurabili. Infine la ridotta inflazione minimizzava i trasferimenti intergenerazionali."

Non sarei così convinto che la distorsione dei tassi di interesse minimizzi gli effetti redistributivi, sia perché da quella distorsione deriva l'espansione del credito in regime di riserva frazionaria, sia perché, per definizione, la politica monetaria altera la formazione dei prezzi di mercato, a partire dai tassi di interesse.

Per di più, proprio perché la distorsione al ribasso dei tassi di interesse redistribuisce ricchezza reale dai risparmiatori ai debitori, significa che è quanto meno arbitrario stabilire che gli effetti siano "poco percepiti". Anche se, indubbiamente, il Qe ha amplificato la redistribuzione.

Continua Masciandaro:

"Con Mario Draghi la politica monetaria è diventata continuativamente non convenzionale per quasi un decennio; il riflesso automatico è stato l'emergere esponenziale degli effetti redistributivi. Più aumentano gli effetti distributivi, più la politica in senso lato vuole e deve occuparsi della Bce. Nessuna sorpresa, dunque, che la Corte tedesca accenda i riflettori proprio sugli aspetti redistributivi della politica di Draghi. Ma anche la politica della Bce targata Lagarde continuerà a essere non convenzionale. Se gli strumenti non possono essere neutrali in una fase straordinaria, è nell'interesse di tutti i cittadini europei che si tuteli l'efficacia della politica monetaria, rafforzando gli altri due presidi della Bce: l'indipendenza del ruolo e la definizione dell'obiettivo."

Che avere banchieri centrali che prendono ordini dal ministro del Tesoro si sia rivelato deleterio dovrebbe essere evidente. Che l'indipendenza, spesso elevata a feticcio, sia servita a eliminare i problemi redistributivi connessi alla politica monetaria era impossibile e mi pare un'arrampicata sugli specchi cercare di sostenere il contrario. L'indipendenza si è però sovente trasformata in sostanziale mancanza di accountability, al di là della forma.

Per Masciandaro, l'indipendenza della Bce, "si basa sul presupposto che avere una moneta con un valore stabile è funzionale al benessere di lungo periodo dei cittadini europei, e tale finalità può essere perseguita con successo solo affidandola a una burocrazia indipendente. Si noti che la tutela del valore dell'euro è l'elemento comune che caratterizza l'azione della Bce sia in tempi normali (il valore deve essere stabile) che in tempi straordinari, quando il rischio ridenominazione deve essere annullato. Quindi la difesa della stabilità monetaria giustifica qualunque effetto collaterale, inclusi quelli distributivi. Piuttosto occorre interrogarsi sull'opportunità di mantenere l'identità tra stabilità monetaria e variazione dei prezzi al consumo."

Nessuno ha mai spiegato in maniera convincente (almeno per quanto mi riguarda) perché una crescita annua attorno al 2 per cento di un indice di prezzi (composto a sua volta in modo inevitabilmente arbitrario) sia da considerare sinonimo di "stabilità".

Ma per Masciandaro il problema sembra essere il mancato raggiungimento del target, da anni, più che un ampliamento della definizione di stabilità per comprendere altri tipi di prezzi (per esempio, quelli di attività finanziarie e reali).

Il che, si badi bene, non risolverebbe il problema fondamentale della politica monetaria, ma probabilmente limiterebbe la totale disconnessione tra andamenti delle variabili finanziarie e l'economia reale. Oltre alla redistribuzione.

Masciandaro conclude sostenendo che "occorreranno scelte coraggiose." Temo non si riferisca alla rimozione di tutte le distorsioni praticate finora.

 "Se io domenica mattina vado a votare - ha sottolineato il Cardinale- è perché sono convinto che esista un bene comune che riguarda te, riguarda tutti noi. Siamo un 'noi' di cui dobbiamo tenere conto. E mi fa paura, invece, questo atteggiamento individualistico, in fondo, di non scegliere. E, poi, quante nazioni ci sono nel mondo dove non si vota, dove c'è una testa che ha già pensato tutto... In fondo noi viviamo in una democrazia... E' un valore aggiunto anche la democrazia. In democrazia senti cose dritte, senti cose storte, senti cose che condividi e non condividi... Certamente tutti abbiamo il dovere di informarci, di farci una coscienza. Il voto è esprimere un giudizio".

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