Scorie - Nuovo patto, costi in aumento

Secondo Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidarietà, per il welfare italiano e per "costruire un nuovo patto sociale, che risponda alle esigenze di tutti, occorrono "più società e più Stato insieme"."

Vittadini parte dalla constatazione che la "spesa per la protezione sociale in Italia al 2023 risulta pari al 29% del Pil, dato che ci colloca in una posizione più alta rispetto alla media europea, seconda solo alla Francia (32,6%), a quasi al pari della Germania (28,3 per cento). La spesa è però sbilanciata a favore delle pensioni e a svantaggio delle diverse forme di marginalità. Nello stesso tempo, una percentuale significativa di italiani (tra il 67% e l'80%) ha incontrato difficoltà o impossibilità di accesso ai servizi fondamentali del welfare negli ultimi tre anni."

Anche per l'infanzia le cose non vanno bene: "i bambini fino a tre anni che frequentano servizi educativi sono meno del 30% in Italia, rispetto al 38% della media europea. Particolarmente grave è poi la situazione delle famiglie con persone disabili: oltre un quarto (28,4%) è a rischio di povertà o esclusione sociale."

Circa il 20% delle spese per il welfare sono a carico delle famiglie. Evidentemente qualcosa non va, a prescindere da quello che uno pensa del welfare state.

Secondo Vittadini, "non si discute a sufficienza della componente culturale e politica di fondo: la scelta di quale sistema-paese si voglia, se quello in cui il welfare è un investimento che non può essere tagliato, oppure quello in cui il welfare è una spesa che ci si può permettere quando l'economia è florida."

Lui opta per la prima opzione (ci fosse mai qualcuno che scrive un articolo per invocare riduzioni di spesa, o quanto meno che indicasse riduzioni di altre spese per finanziare quella che vuole aumentare), e sostiene che "la protezione sociale andrebbe riformata mettendo a frutto le innovazioni che il progresso offre per distribuirne i benefici a tutti. L'esigenza di risparmiare ha portato le istituzioni a frammentare i servizi in base a singoli bisogni, quelli dei disabili, degli anziani, delle persone affette da dipendenze o con disturbi psichiatrici."

Ovviamente "non occorre tagliare la spesa, ma renderla più efficace e focalizzare meglio l'obiettivo."

Di qui l'invito al nuovo patto sociale accennato sopra. E qualche formula vagamente supercazzolara:

"La trasformazione del welfare deve essere un'azione comune che valorizzi l'esistente, ovvero la «biodiversità» delle istituzioni con una «finalità pubblica», disposte a condividere progettualità orientate al bene comune, secondo il principio di sussidiarietà, in un contesto in cui i soggetti pubblici sono chiamati a stabilire gli obiettivi di qualità dei servizi e a monitorare il loro perseguimento."

Il problema, alla fine di tutti questi giri di parole, resta che ogni sistema di welfare può funzionare solo se la demografia aiuta. In popolazioni che invecchiano inevitabilmente aumenta la domanda, mentre cala il bacino di chi può (volente o nolente) contribuire.

Quindi non è realistico pensare, nell'Italia di oggi (e di domani), a un sistema che migliori l'esistente e aggiunga altra spesa, perché di questo, in fin dei conti e fuori dai giri di parole, si tratterebbe.

E ripeto, non entro nel merito della desiderabilità di quanto auspicato da Vittadini.


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