Scorie - Le sfide (senza senso) della UE

In un articolo dedicato alle sfide della UE, Luigi Paganetto nota che alle elezioni europee "i due temi di maggiore insoddisfazione sono stati immigrazione e politiche per la transizione ecologica."

Temi non banali, ma, secondo Paganetto abbiamo "il vantaggio di parlarne con l'autorevole sostegno dei Rapporti Draghi e Letta."

I quali continuano a essere citati come se fossero testi oracolari, che poi è la loro (unica) funzione, che ne si condivida o meno i contenuti.

La politica industriale europea "é legata alla politica di contrasto al cambiamento climatico, attraverso il "green deal", che è infatti definito dalla Commissione come "una politica di sviluppo che protegge il clima"."

Chiara manifestazione di neolingua, dato che il green deal sta generando in realtà sottosviluppo. Ma tant'è.

Paganetto scrive che è "un momento difficile per le politiche climatiche anche per l'annuncio di Trump della sua intenzione di abbandonare gli accordi di Parigi sul clima. E per la disaffezione che l'opinione pubblica sta mostrando per la "politica verde" soprattutto per via dei costi della transizione energetica per le abitazioni e per le auto. In effetti, la transizione rappresenta una trasformazione epocale dell'economia che richiede massicci investimenti. Implica costi immediati e benefici soprattutto nel futuro, tanto da rendere opportuno, almeno in una prima fase, un intervento finanziario europeo. Ma è una scelta irrinunciabile se vogliamo mantenere l'ottica dello sviluppo sostenibile. Per farlo con successo occorre ripensare l'intero quadro delle politiche verdi, ricalibrandone tempi, modalità e rapporto costi-benefici."

A oggi l'Europa ha ridotto le proprie emissioni rispetto a tre decenni fa, mentre le altre principali aree economiche no. Però pare che qui si debba continuare a fare i primi della classe, ancorché ricalibrando i tempi.

Con particolare rifetimento all'automotive, la "spinta all'innovazione determinata dall'auto elettrica, di certo discutibile rispetto al principio della neutralità tecnologica, rappresenta un sostanziale contributo alla transizione ecologica."

Sempre che di innovazione si tratti, dato che l'auto elettrica esiste da prima di quella con motore a scoppio.

E qui viene il punto che penso abbia meno senso:

"La crisi europea del settore dell'auto ha poco a che fare con la scelta a favore dell'elettrico. Risente dei costi dell'energia e delle materie prime nonché dell'inadeguatezza delle strategie adottate. Nel caso dell'auto elettrica è l'effetto di un sostanziale ritardo delle politiche d'innovazione nel settore delle batterie e della tecnologia informatica per l'auto che ne sono le principali componenti. Nonché della carenza di investimenti in infrastrutture nelle città e nella rete autostradale. Ritardare l'adozione dell'auto elettrica anziché sostenere lo sforzo d'innovazione su autonomia e tempi di ricarica sarebbe un ulteriore passo indietro nella gara competitiva aperta a livello mondiale."

Ora, sostenere che la crisi del settore auto ha poco a che fare con l'elettrificazione mi pare fare a pugni con la realtà e con quanto affermato da chi opera nel settore. 

I costi dell'energia e delle materie prime (e si potrebbe discutere anche delle scelte politiche adottate in questi campi, il primo soprattutto) sono certamente una parte del problema, ma l'energia costava di più in Europa che altrove anche quando i produttori europei non erano in crisi.

Semplicemente le case non investivano nell'elettrico fino a quando non è stato (follemente) deciso con il green deal di elettrificare tutto alla velocità della luce, perché la domanda per elettrodomestici con le ruote non c'era. E non c'è neppure adesso, come dimostrano i saliscendi delle immatricolazioni che restano del tutto dipendenti dalla presenza di sanguinosi (per i pagatori di tasse) sussidi.

Perché investire in un settore dove non c'è sufficiente domanda di mercato, neppure prospettica? Questa resta la domanda a cui le citazioni dei rapporti Letta e Draghi non danno mai risposta. La vera miopia delle case automobilistiche è stata seguire gli input politici (mal)investendo miliardi per un prodotto che, senza sussidi, non sta in piedi. Ma nessun mercato di massa può reggersi su sussidi, se non a brevissimo termine.

Il punto resta sempre questo.




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