Scorie - Riecco il fondo sovrano
Come mi capita di ricordare piuttosto di frequente, le idee balzane non muoiono mai. Al più spariscono per un po', per poi tornare.
Ne è un esempio quella del Fondo sovrano italiano, rilanciata da Sestino Giacomoni, parlamentare di lungo corso di Forza Italia, che alle ultime elezioni non è riuscito a (ri)entrare in parlamento ed è quindi stato nominato alla presidenza di CONSAP.
"Il Fondo dei Fondi da me ipotizzato per funzionare in modo efficace deve poggiare su due pilastri: gli incentivi fiscali sul modello dei Pir e la garanzia sull'investimento. Il meccanismo che è alla base dei Pir è semplice: se il risparmiatore mantiene i suoi risparmi investiti nell'economia reale del nostro Paese per 5 anni, non pagherà il 26% di tasse sugli eventuali utili. La garanzia sugli investimenti è invece legata alla loro diversificazione e al tempo. Il risparmio ben investito genera interessi sia per chi investe, sia per il sistema Paese. Questi presupposti sono alla base dell'idea di istituire un Fondo Sovrano Italiano, un Fondo dei Fondi, un Fondo Strategico Nazionale, sul modello del Fondo Sovrano Norvegese."
A parte la confusione (vogliamo dire per motivi di semplificazione, rivolgendosi a un pubblico non specialistico?) tra interessi e rendimenti, che la garanzia debba esserci è quanto meno discutibile, ma sicuramente fa a pugni con la realtà invocare massicce concentrazioni di investimenti in Italia associando questo modus operandi alla diversificazione.
Quanto poi al parallelo con il Fondo Sovrano Norvegese, Giacomoni, bontà sua, ricorda che in quel Paese (come in altri Paesi con fondi analoghi) il Fondo è alimentato dalle royalties su petrolio e gas, cosa che non potrebbe avvenire nel caso dell'Italia.
Ma "noi dobbiamo essere consapevoli che il petrolio che ci consentirà di alimentare il nostro Fondo risiede nella grande capacità di risparmio degli italiani."
Gia, perché gli "oltre 11.000 miliardi di ricchezza delle famiglie e delle imprese italiane sono per oltre la metà investiti in immobili, mentre 1.800 miliardi sono parcheggiati sui conti correnti e solo il 5% viene investito nelle nostre imprese. È una situazione paradossale. Se investissimo il 70% dei nostri risparmi nell'economia reale avremmo risolto gran parte dei nostri problemi, perché sostenendo le imprese avremmo oltre al dividendo economico anche un importante dividendo sociale, in termini di crescita e di posti di lavoro. Nella complessità e nell'incertezza attuale, la mobilitazione dei capitali privati accanto alle risorse pubbliche può garantire un effetto volano a lungo termine, consentendo in prospettiva di rimpiazzare i fondi del Pnrr."
Che dire: mettere il 70% nell'economia reale domestica non sembra molto in linea con la diversificazione geografica e forse questo risolverebbe i problemi di qualcuno, ma ne aumenterebbe per altri. Perché proprio l'incertezza che caratterizza l'investimento, soprattutto in capitale azionario di PMI, potrebbe avere anche esiti non positivi. Altrimenti non esisterebbero imprese che falliscono.
Tra l'altro lo stesso Fondo Sovrano Norvegese investe in gran parte al di fuori della Norvegia.
Fatto poi l'elenco degli incentivi da fornire a famiglie, casse di previdenza private, fondi pensione e compagnie assicurative, arriva l'analisi col senno di poi.
"Se il patrimonio delle famiglie italiane in questi 27 anni fosse stato investito prevalentemente nell'economia reale, ossia per il 72% nel mercato azionario, come ha fatto il Fondo Sovrano Norvegese, oggi tutti noi avremmo una ricchezza che ammonterebbe a quasi 30.000 miliardi di euro anziché a 11.000. L'aumento della ricchezza privata avrebbe determinato anche una maggiore crescita dell'economia del nostro Paese, che ci avrebbe consentito di azzerare il debito pubblico e di incrementare le risorse per la sanità, l'istruzione, la sicurezza, le infrastrutture."
Azzerare il debito pubblico mi pare abbastanza iperbolica come affermazione, non fosse altro per il fatto che se ci fosse stata davvero tanta più crescita economica e, di conseguenza, tanto più gettito fiscale, semplicemente quei soldi sarebbero stati spesi, non certo destinati a ridurre il debito. Questo se si vuole essere realisti considerando la cultura da tossici di deficit spending che caratterizza gran parte dell'offerta politica italiana e, ahimè, anche della domanda.
Storicamente in Italia proprio il debito pubblico ha attratto risparmio a svantaggio degli investimenti privati. Ancora oggi l'aliquota fiscale sui rendimenti dei titoli di Stato è meno della metà di quella che si paga sui rendimenti di titoli di emittenti privati.
In Italia manca, in gran parte, la cultura dell'investimento in capitale di rischio, non da ultimo per via degli storici pregiudizi negativi catto-comunisti verso lo scopo di lucro. Sarebbe certamente un bene se tutto ciò migliorasse, ma buttare (quasi) tutte le uova del paniere del risparmio nel capitale di rischio di imprese domestiche non sarebbe il modo migliore di procedere. A maggior ragione se poi si dovessero anche fornire garanzia a carico dei pagatori di tasse.
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