Scorie - Il problema è la politica monetaria, non l'assenza di regole

Negli ultimi anni si è fortemente sviluppato, soprattutto negli Stati Uniti, il mercato del credito privato. In sostanza è proseguito il processo di disintermediazione creditizia del settore bancario. Ma se in precedenza i prestiti bancari erano sostituiti dall'emissione di obbligazioni, un ruolo crescente è stato via via assunto da prestatori privati, per lo più grandi fondi di investimento.

Ormai si parla di circa 2000 miliardi di dollari, con un trend previsto in ulteriore crescita. Le banche, dal canto loro, sono alle prese con requisiti patrimoniali più stringenti, il che rende meno redditizio erogare credito mantenendolo nel proprio bilancio.

Questo tipo di sviluppo non sarebbe di per sé negativo, considerando che le banche hanno storicamente finanziato queste attività a medio lungo termine e illiquide per lo più con depositi a vista o a breve scadenza, essendo poi soggette a crisi di liquidità che conducevano rapidamente all'insolvenza.

Un fondo chiuso, al contrario, ha generalmente durate di 7-10 anni entro i quali gli investitori non possono chiedere il riscatto (fermo restando che può esserci un mercato secondario più o meno sviluppato per le quote del fondo stesso), quindi ha un migliore bilanciamento delle durate dell'attivo e del passivo. Inoltre chi investe in un fondo non ha diritto alla restituzione del capitale investito, in caso di perdite. Per di più, si tratta di investitori non al dettaglio, quindi (teoricamente) in grado di sopportare le perdite.

Ciò nonostante, da più parti si fa notare che le regole prudenziali vigenti per le banche dovrebbero essere estese anche ai soggetti non bancari. Lo fa, per esempio, Marco Onado, che ricorda come le autorità di vigilanza segnalino che "le norme prudenziali e quelle di trasparenza sono quasi del tutto assenti. Per di più, non esiste un sistema di rating, e il loro prezzo è determinato dai modelli di rischio prodotti dagli stessi intermediari. Se a qualcuno fischiano le orecchie, c'è un motivo: è lo stesso meccanismo dei titoli del mercato ipotecario americano che hanno portato alla Grande Crisi Finanziaria (denominazione ufficiale con tanto di maiuscole, della Banca dei regolamenti internazionali)."

Posto che il rating non è uno strumento infallibile, prova ne sia che le cartolarizzazioni all'origine della crisi del 2007-2008 avevano classi senior con rating tripla A, a mio parere andrebbe fatta una distinzione tra soggetti che utilizzano la leva finanziaria e soggetti non a leva. Questi ultimi non credo dovrebbero avere le stesse regole delle banche, perché non devono restituire il capitale ricevuto dai sottoscrittori delle quote dei fondi, i quali sopportano per intero il rischio di perdere il capitale investito.

E quindi vero che "questi fondi sono nati e cresciuti nella fase più favorevole del ciclo finanziario e quindi nessuno è in grado di prevedere ragionevolmente quale può essere l'impatto dell'inversione del ciclo di espansione." Ed è anche vero che "i conti sui rendimenti assicurati finora da questi fondi andranno fatti a conclusione del ciclo: e anche qui la crisi del 2008 ha dimostrato quanto fossero labili i rendimenti dei "sicuri" titoli ipotecari americani."

Ma un conto è fornire informazioni trasparenti agli investitori in modo che siano consapevoli dei rischi che assumono; altra cosa è estendere le regole prudenziali pensate per le banche, cosa che avrebbe (forse) senso solo in presenza di un massiccio ricorso alla leva del debito da parte dei gestori dei fondi stessi, a maggior ragione se a finanziarli fossero banche.

Potrà esserci una nuova crisi? Certamente, ma il problema non credo sia la mancanza di estensione di regole prudenziali a questi soggetti, bensì la abnorme quantità di espansione monetaria che non è mai stata realmente riassorbita nonostante gli ultimi due anni di politiche monetarie formalmente non espansive.

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