Scorie - La trappola infinita dello schema Ponzi previdenziale

Mentre Matteo Salvini continua a ripetere di voler introdurre la possibilità di andare in pensione con 41 anni di contributi a prescindere dall'età anagrafica e il suo compagno di partito Giancarlo Giorgetti, da ministro dell'Economia, fa orecchie da mercante, si apprende dall'Inps che le richieste per la versione attuale di Quota 103 sono molto al di sotto delle attese: circa 7mila su un totale atteso per tutto il 2024 di 17mila.

Quota 103 risulta da una combinazione di 62 anni di età e 41 anni di contributi, ma chi vuole accedervi deve fare i conti col fatto che l'assegno sarà calcolato integralmente con il metodo contributivo.

Considerando che è ancora possibile andare in pensione di anzianità senza ricalcoli col metodo integralmente contributivo con 42 anni e 10 mesi di versamenti, in molti evidentemente decidono di continuare fino al raggiungimento di quel limite.

Nonostante la riforma Dini abbia ormai quasi tre decenni, il sistema è ancora misto per chi aveva già contributi a inizio 1996. Il fatto stesso che le richieste siano poche testimonia che l'assegno integralmente contributivo è quasi sempre inferiore a quello almeno parzialmente retrivutivo (si avrebbe il caso contrario solo se la storia retributiva del pensionando avesse un trend calante negli ultimi anni).

Il che significa che, nella maggioranza dei casi, le pensioni integralmente o parzialmente retributive non sono completamente coperte dai contributi versati da chi percepisce l'assegno. Con la differenza a carico di chi sta versando e verserà in futuro contributi.

Il problema strutturale dei sistemi pensionistici pubblici è che sono quasi sempre schemi a ripartizione, in cui i contributi versati non sono investiti (realmente o figurativamente) per conto dei singoli individui, ma sono destinati a pagare le pensioni correnti. Un vero e proprio schema Ponzi ad adesione obbligatoria.

E come ogni schema Ponzi i problemi sono destinati a presentarsi se i rendimenti scarseggiano e, soprattutto, il flusso di nuovi contribuenti decresce, mentre aumenta la platea di chi deve essere remunerato. La combinazione tra calo delle nascite e aumento della longevità è fatale per le fondamenta del sistema pensionistico italiano (e non solo).

Per di più, il fatto che il sistema sia a ripartizione rende anche scarsamente praticabile l'introduzione di forme di flessibilità in uscita, seppure a fronte di calcoli integralmente contributivi degli assegni, perché l'eccedenza di pagamenti rispetto ai flussi di contributi versati dovrebbe in ogni caso essere finanziata da entrate fiscali o da emissione di debito.

Ed essendo crescente il numero di pensionati rispetto a chi versa contributi, è anche politicamente infattibile una transizione verso un sistema a capitalizzazione (come sono, per esempio, i fondi pensione aperti o negoziali), che peraltro finirebbe per aumentare la parte di pagamenti delle pensioni correnti a carico della cosiddetta fiscalità generale.

In definitiva, da qualunque parte la si guardi si tratta di una faccenda destinata a costare sempre di più a chi riveste la duplice veste di pagatore di contributi previdenziali e tasse. Come non di rado accade con i programmi di welfare (socialist) state.

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