Scorie - Le buone(?) intenzioni di Giancarlo

Giancarlo Giorgetti, ministro dell'Economia, è spesso definito "prudente" nelle dichiarazioni in merito ai provvedimenti da assumere in tema di finanza pubblica. Indubbiamente ciò è vero se il termine di paragone è il segretario del suo partito nonché attuale ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, che parla invariabilmente di spesa pubblica da aumentare e tasse da tagliare contemporaneamente.

Tuttavia l'approccio di Giorgetti a me pare più frutto di tattica che di convinzione. Ha capito meglio di altri che sparare idchiarazioni avventate è controproducente sia nei confronti dei partner e delle istituzioni europei, sia degli operatori dei mercati finanziari. 

Ma se le regole di finanza pubblica restassero sospese a tempo indeterminato e non si manifestasse alcuna tensione sui titoli di Stato, dubito che avrebbe remore nel far correre la spesa. Prova ne sia che continua a insistere (credo senza reali possibilità di successo) per escludere le spese per un ampio ventaglio di "investimenti" dal calcolo del deficit pubblico.

Intervenendo al Festival dell'economia di Trento, Giorgetti ha detto, tra le altre cose:

"Stiamo riducendo il debito come chiesto anche dal Fondo monetario internazionale".

A onor del vero, quello che sta lentamente scendendo dai picchi raggiunti durante la pandemia è il rapporto tra debito e Pil, non il debito che, in valore assoluto, continua ad aumentare imperterrito. E il calo del rapporto con il Pil è dovuto anche al rigonfiamento del valore nominale del denominare per via dell'inflazione, che notiroamente aiuta i debitori, ma che peggiora il potere d'acquisto di larga fetta della popolazione. Prova ne sia che la stessa BCE, senza peralfro fare alcun mea culpa, stima che nell'eurozona i salari reali torneranno a livello del 2019 solo nel 2025. Qualcuno scommette che in Italia andrà meglio rispetto alla media? Io no.

Quanto alle trattative per la revisione del Patto di stabilità e crescita, Giorgetti continua a proporre esclusioni per varie spese dal calcolo del deficit, sottolineando che sia "un fatto di buon senso, perché se la vecchia Europa vuole investire nella transizione ecologica e digitale e sostenere sforzi comuni nella difesa come in Ucraina poi non può trattare gli investimenti come sintomo di cattiva gestione". Anche se "questo non significa che l'Italia voglia spendere di più. Oltre all'attenzione alla parte corrente, ho parlato di una spending review degli investimenti perché non tutti hanno lo stesso valore".

Il problema è sempre lo stesso: ogni investimento va finanziato, e se la spesa eccede le entrate fiscali occorre emettere titoli di debito. E il Pil generato mediante il mitologico moltiplicatore keynesiano si rivela ex post abbastanza deludente, il che non aiuta a migliorare il rapporto tra debito e Pil. Non considerare contabilmente una spesa non significa che non esista.

Quanto alla spending review, ogni iniziativa precedente ha prodotto liste di tagli da fare, ma nessuna azione degna di nota. Qualcuno scommette che questa volta andrà meglio? Anche in questo caso, io no. Perché, anche volendo lasciare a Giorgetti il beneficio del dubbio, ben difficilmente i suoi colleghi di governo e la maggioranza parlamentare seguirebbero i suoi propositi.

In Italia tanto le parti politiche quanto i loro eletotrati sono troppo intossicati di spesa pubblica per autoriformarsi.


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