Scorie - Malinvestimenti
Negli anni di politiche monetarie ultraespansive, la distorsione al ribasso dei tassi di interesse ha prodotto diversi danni. Chi ha una conoscenza anche superficiale della teoria economica austriaca sa che uno di tali danni consiste nell'accumulazione di quelli che Mises definiva "malinvestimenti", che in termini finanziari consistono in investimenti il cui valore attuale netto ex ante risulta superiore a quanto sarebbe in assenza di distorsioni al ribasso sui tassi di interesse.
Questo perché tanto più basso è il tasso di interesse utilizzato per scontare i flussi di cassa prospettici, tanto più alto è il loro valore attuale. E, nel caso per esempio di investimenti azionari, tanto più alti finiscono per essere gli stessi flussi prospettici da scontare.
Quando la politica monetaria, per contrastare il rigonfiamento dei prezzi, soprattutto se passa dal settore finanziario al carrello della spesa, inizia a rimuovere gli stimoli monetari, la risalita dei tassi di interesse fa emergere un valore attuale netto per quegli investimenti più basso o addirittura negativo.
Mi è capitato di osservare, negli anni scorsi, come il settore dei fondi pensione, soprattutto se a benefici definiti, fosse alle prese con un grande problema, avendo passività a lungo termine che non potevano essere coperte con i tipici investimenti obbligazionari a lungo termine, dato che anche sulle scadenze lunghe le obbligazioni, anche se di emittenti dai bilanci non particolarmente floridi, avevano rendimenti rasoterra.
Una corretta pratica contabile consisterebbe nello scontare le passività a un tasso di interesse corretto per il proprio rischio di insolvenza. Ma non sempre le regole (poi si dà la colpa al mercato!) contabili sono fatte per avvicinare la rappresentazione contabile alla realtà.
Negli Stati Uniti, per esempio, capita che i fondi pensione privati debbano usare tassi di mercato, mentre quelli pubblici possono scontare le passività con il tasso di rendimento atteso delle proprie attività. Questo ha avuto una conseguenza, nei lunghi anni di tassi di interesse rasoterra: ha spinto i gestori di questi fondi pubblici a investire in private equity.
Ciò ha aumentato il rendimento medio atteso dell'attivo, quindi anche il tasso a cui scontare le passività, il cui valore attuale è di conseguenza sembrato più basso.
Il fatto è che non sempre il private equity ha ritorni stellari, ancorché non sia costretto a valutare il proprio portafoglio quotidianamente a prezzi di mercato. Per di più, gli stessi fondi di private equity si sono trovati per anni a essere ingolfati di liquidità e a strapagare aziende il cui valore prospettico era a sua volta effetto della distorsione al ribasso sui tassi di interesse.
In sostanza, quei fondi hanno fatto "malinvestimenti" e si sono a loro volta rivelati "malinvestimenti" per i fondi pensione pubblici. I quali realisticamente si trovano ad avere un attivo il cui valore attuale è inferiore a quello del passivo.
Chi coprirebbe la differenza? Ovviamente i pagatori di tasse, che dovrebbero per questo ringraziare chi ha scritto le regole (che, per inciso, ha anche il potere di imporre le tasse) e la Federal Reserve.
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