Scorie - I soliti sogni dei keynesiani nostrani
Commentando, come fanno in tanti, la proposta di revisione del Patto di stabilità e crescita, Mario Baldassarri ricorda come furono fissati i limiti di 3% di deficit e 60% di debito in rapporto al Pil.
"All'epoca in Europa la media del rapporto debito/Pil era al 60 per cento. La futura Banca centrale avrebbe avuto il compito di tenere l'inflazione al 2 per cento. La crescita strutturale di lungo termine fu prevista al 3 per cento. Pertanto, il Pil nominale fu previsto crescere al 5% all'anno. Da qui fu derivato il tetto al deficit pubblico totale al 3 per cento. Infatti, per mantenere fermo al 60% il rapporto debito/Pil, con un Pil nominale che cresce al 5% basta garantire che il deficit sia al 3% del Pil (il 5% del 60% fa 3%)."
Secondo Baldassarri, il problema è che non si fece una distinzione tra deficit dovuto a spesa corrente o a spesa per investimenti.
Posto che non sono un fan del moltiplicatore keynesiano con cui soprattutto a sud delle Alpi si ipotizzano prodigiosi risultati dagli investimenti pubblici, nulla avrebbe vietato di fare il 3% di deficit solo per investimenti. Ma il fatto è che i fautori degli investimenti pubblici avrebberp preferito (e ancora insistono) fare deficit per spesa corrente, escludendo del tutto dal calcolo gli investimenti.
Il fatto è che, come non mi stancherò mai di ripetere, quegli investimenti in deficit avrebbero dovuto comunque essere finanziati. E purtroppo la storia insegna che gli investimenti pubblici non tendono a pagarsi da soli.
Ma Baldassarri critica anche un altra questione.
"La stabilità del Debito è garantita se il rapporto debito/Pil resta fermo nel tempo, indipendentemente dal livello già raggiunto del rapporto. Se un Paese ha un rapporto del 50% che è previsto crescere al 100% il suo debito non è sostenibile. Se un Paese ha un rapporto al 150%, ma è previsto che scenda, il suo debito è sostenibile. Tutto questo è anche indipendente dalla velocità di crescita o di riduzione dello stesso rapporto debito/Pil. Certamente se la crescita prevista del rapporto è molto forte il giudizio di insolvibilità arriverà in tempi rapidi e con reazioni più violente. Ma se si forza la discesa del rapporto si va a incidere sulla crescita potenziale e si rischia di avvitarsi."
Il problema è che l'accumulazione di debito non è sempre dovuta a catastrofi naturali o altri eventi incontrollabili e molto dannosi. Il più delle volte è la conseguenza di spesa costantemente e anche significativamente superiore alle entrate. E quando il rapporto è alto, basta un problema anche non enorme per farlo impennare.
Venendo al caso specifico dell'Italia, Baldassarri scrive:
"Se si persegue il cosiddetto rigore tagliando il deficit totale con aumenti di spesa corrente e riduzioni di investimenti, si frena la crescita e il rapporto debito/Pil aumenta: non si ha crescita, non si ha stabilità e non si ha rigore finanziario. Un risultato non certo brillante per un Patto chiamato di stabilità e crescita. Il Pil pro-capite italiano in valore reale nel 2022 è stato uguale a quello che avevamo nel 2000. Abbiamo quindi avuto 22 anni di crescita zero. Il debito italiano in valore assoluto era nel 2000 pari a 1.300 miliardi di euro, nel 2022 è stato pari a 2.800 miliardi. Il rapporto debito/Pil nel 2000 era al 109%, nel 2022 al 147 per cento. E la riduzione dello scorso anno e di quest'anno è dovuta al rimbalzo dell'inflazione. Se avessimo ridotto il deficit attraverso meno spesa corrente e più investimenti, avremmo avuto più crescita e avremmo prima fermato poi ridotto il rapporto tra debito e Pil con l'unico circolo virtuoso possibile: più investimenti, più crescita, meno deficit, meno debito. Ma per avere più investimenti pubblici occorre contenere la spesa corrente e "aggiungere" progetti concreti e realizzabili con i fondi del Pnrr. Entrambi sostengono la domanda nel breve ma, soprattutto, aumentano la Produttività totale dei fattori e la crescita potenziale nel medio-lungo termine."
Posto che, come sopra accennato, non mi pare sarebbe stato miracoloso spendere per investimenti, fare spesa corrente invece che investimenti non è stata una scelta obbligata. Ma d'accordo con il tagliare la spesa corrente con il machete. E allora perché, invece di spendere per investimenti pubblici, non ridurre le tasse e lasciare ai privati decidere come usare le risorse? O si crede che la crescita la possano fare solo gli investimenti pubblici?
Quanto al futuro, ancora una volta nulla vieterà di usare la spesa pubblica per fare investimenti. Ma sarebbe irrealistico pensare di escludere la spesa per investimenti dal calcolo del deficit, perché anche quella spesa andrà materialmente finanziata. Piaccia o non piaccia ai keynesiani nostrani.
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