Scorie - Ooops, mi sono dimenticata delle banche centrali
L'andamento dei tassi di interesse è un argomento sempre all'ordine del giorno. Mi interessa sempre leggere le opinioni di chi cerca di analizzare la questione andando oltre la cronoca quotidiana. E mi capita di imbattermi in articoli nei quali l'analisi di quanto accaduto negli ultimi decenni e le ipotesi su quanto potrebbe accadere in futuro non fanno alcuna menzione della politica monetaria, come se questa fosse ininfluente.
Per esempio, non ho trovato nessun riferimento alle azioni poste in essere dalle banche centrali in un articolo di Allison Schrager su Bloomberg Opinion, che parte dalla constatazione che è "sostenuto di frequente che una volta che l'economia avrà superato questa inflazione, i tassi di interesse torneranno ai livelli minimi del periodo pre-pandemia e probabilmente scenderanno ancora di più in futuro."
La stessa Fed non farebbe che assecondare la tendenza verso il "tasso naturale". Come se questo avesse fatto finora, par di capire. Le ragioni per una nuova discesa dei tassi di interesse andrebbero cercate per lo più nell'invecchiamento della popolazione, che indurrebbe a una minore produttività e a conseguenti minori ritorni sul capitale. Il corollario sarebbe che i governi possono serenamente continuare a spendere in deficit, dato che presto torneranno a indebitarsi a tassi rasoterra.
Schrager, citando uno studio su un arco di 700 anni di Kenneth Rogoff, sostiene che in realtà i tassi tendono a scendere quando l'età media della popolazione diminuisce, e che gli ultimi 15 anni rappresentano quindi un'anomalia. Per di più, la spesa previdenziale aumenterà notevolmente nei prossimi anni, più del risparmio, creando pressioni al rialzo sui tassi.
Le argomentazioni sembrano condivisibili, ma non danno apparentemente alcun peso, come accennavo, alla politica monetaria, che parrebbe accompagnare i trend di mercato invece che condizionarli. Ma è evidente a chiunque abbia seguito anche ditrattamente l'operto delle banche centrali negli ultimi decenni che questo non è affatto vero. Al contrario, una stratificazione di politiche monetarie sempre più espansive hanno schiacciato i tassi di interesse e i premi per il rischio, oltre a favorire un forte incremento del debito. Il quale, per essere sostenibile per gli emittenti di minore qualità, necessita di tassi di interesse molto bassi.
In sostanza, la politica monetaria ha determinato il moltiplicarsi e il trascinarsi di quelli che Mises definiva "malinvestimenti", ossia investimenti che, finanzairiamente parlando, hanno un valore attuale netto atteso positivo solo in virtù del basso tasso di interesse utilizzato per scontare i flussi di cassa attesi. I quali, a loro volta, anche nella loro dimensione nominale dipendono in modo più o meno consistente da consumi favoriti da bassi tassi di interesse.
A mio parere, se i tassi di interesse torneranno a scendere in futuro lo si dovrà anche (se non in misura prevalente) a una ripresa di politiche monetarie espansive, necessarie a puntellare debiti pubblici e privati sostenibili solo se a basso costo. Per questo ogni analisi che lasci in secondo piano l'operato delle banche centrali mi pare il classico caso in cui non si vede (o non si vuole vedere) l'elefante nella cristalleria.
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