Scorie - Lesson (not) learned

Non so come andrà a finire il melodramma del superbonus, che il governo ha deciso di rendere sostanzialmente inutilizzabile ai più mediante lo stop alla possibilità di optare per lo sconto in fattura e alla cessione del credito.

Va detto che la sua introduzione quando a palazzo Chigi c'era l'avvocato del popolo Giuseppe Conte e il M5S era il punto fermo di ogni ipotesi di maggioranza, portava con sé tutti i semi delle future traversie. Solo che in Italia la credenza di poter beneficiare di una sorta di moto perpetuo e, soprattutto, di poter contare sul fatto che altri paghino il conto, non conosce crisi di consensi.

Poter detrarre dalle imposte il 110% di quanto si è speso era un'assurdità fin dall'inizio. Unito alla breve durata (per ovvi motivi di sostenibilità fiscale) del superbonus, rappresentava il mix perfetto per creare una bolla nell'edilizia. Nessun committente aveva alcun interesse a calmierare il costo dell'intervento, purché restasse entro i massimali previsti dalla legge, dato che avrebbe poi ottenuto lo sconto in fattura o ceduto il credito.

Le stesse imprese, tranne i casi eccezionali in cui i titolari avevano giustamente annusato che sarebbe andata a finire male, hanno promesso sconti in fattura ben oltre la propria capacità fiscale, contando sulla successiva cessione, per lo più a banche. E adesso potrebbero saltare.

In effetti nella versione iniziale si trattava, di fatto, di una moneta parallela, essendo liberamenbte cedibile senza limiti. In sostanza l'utilizzo di quei crediti di imposta era una certezza, al pari del mancato gettito fiscale per lo Stato.

Il governo Draghi cominciò quindi a introdurre limiti alla trasferibilità, sostanzialmente per limitare l'utilizzo dei crediti e, di conseguenza, le voragini nel bilancio dello Stato. Adesso Meloni e Giorgetti si accorgono che la voragine, nonostante i ritocchi peggiorativi da loro stessi apportati nell'ultima legge di bilancio, sia avvia a raggiungere i 110 miliardi, quindi hanno bloccato tutto con effetto immediato, salvo poi aprire i classici tavoli con le associazioni di categoria.

Il tutto perché Eurostat considera quei crediti come deficit, essendo ampiamente probabile il loro utilizzo. Solo a sud delle Alpi, peraltro, era possibile (auto)illudersi che un credito di imposta trasferibile non fosse un ammanco ampiamente probabile (per non dire certo) di gettito e, in quanto tale, da considerare subito come deficit aggiuntivo.

Il problema, come sempre, è che per consentire una sacrosanta detrazione di imposta (non però per importi superiori alla spesa effettiva!) sarebbe necessario ridurre la spesa pubblica per lo stesso ammontare. Cosa che nessuno in Italia vuole fare.

Ci sarebbero alcune lezioni da imparare, comunque vada a finire. In primo luogo, che non si crea ricchezza dal nulla; in secondo luogo, che è illusorio vivere a spese altrui (Bastiat docet); last, but not least, chi governa può cambiare le regole più volte e in qualsiasi momento, quindi occorre tenerne conto quando ci si appresta a fare il passo più lungo della gamba.

Dubito che saranno imparate.

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