Scorie - Contra fiscum
In uno dei soliti articoli dedicati al rapporto tra fisco e pagatori di tasse, Enrico De Mita rispolvera alcuni concetti apparentemente di buon senso, e tuttavia privi di consistenza.
De Mita parte da un must: "ciò che Governo e Parlamento devono edificare è un nuovo sistema tributario. Non si tratta di ampliare i regimi forfettari o i regimi sostitutivi, sino all'aberrazione di immaginare un regime fiscale delle mance nei settori della ristorazione e delle attività ricettive."
E come dovrebbe essere il nuovo edificio tributario?
Dovrebbe partire dal presupposto che "l'applicazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (articolo 3 della Costituzione), impone l'elaborazione di un sistema normativo chiaro e di immediata applicazione, risposta univoca all'incertezza, tutta italiana, dello «stare non decisis» e delle disfunzioni nomofilattiche che falsano la concorrenza e che continuamente ispirano il genio eroico degli operatori economici che vogliono sopravvivere e rimanere competitivi rispetto ai loro colleghi esteri. Prevedere una disciplina tributaria equa, certa e stabile rappresenta la premessa, costituzionalmente necessitata, per la certezza operativa, attuativa e progettuale. Fiducia e collaborazione tra cittadino e fisco richiedono aliquote eque e stabilità normativa, senza deleghe in bianco alle sentenze additive dei giudici."
Ben vengano la semplicità e la stabilità, ma come può essere equo qualcosa basato sull'adempimento effettuato dietro la minaccia dell'uso della forza? Se ci sarebbe ben poco di equo per il solo fatto che tutti quanti fossero bastonati allo stesso modo.
Per De Mita la disciplina tributaria oggi è iniqua "quando ricorre a misure emergenziali come se fossero una soluzione sistematica. Altrettanto quando mantiene l'eccesso dell'aliquota come legittimazione di un fisco espropriativo. Similmente quando evoca le figure abusate della tregua, della pace, della riduzione della pressione, della rottamazione, quasi che il rapporto fisiologico con il fisco sia di guerra, di contrasto, di schiacciamento o, ancora, quasi che l'obbligazione tributaria, nella sua declinazione esiziale, diventi un rottame non più in uso e da scontare a peso, avendo perso l'identità originaria. L'abitudine non crea il concetto. Al contrario è il concetto originario che deve impostare una nuova consuetudine giuridica."
Come per l'equità, anche nel caso dell'"eccesso dell'aliquota" non mi pare si possa oggettivamente stabilire quale aliquota non sarebbe eccessiva, né quale fisco non sarebbe "espropriativo" dato che l'adempimento comunque non è facoltativo. Va da sé che se un'aliquota passa dal 50% al 20% il pagatore di tasse, a parità di altre condizioni, sarà espropriato di meno, ma sempre di esprorpio si tratterà.
Per De Mita è "evidente che serve un nuovo vocabolario. La nostra Costituzione è, anzitutto, una mirabile composizione linguistica. A essa restituiamo l'esposizione del rapporto tra Fisco e contribuente, distante tanto dalla dottrina del fisco quanto dal pregiudizio contra fiscum."
La venerazione del più sacro dei testi laici italici è un altro must.
E quindi ecco che la "funzione impositiva nasce dalla legge, applicata dall'atto di accertamento del privato che deve identificarsi con i principi fondanti dell'interesse fiscale, costituzionalmente orientato. Appropriarsi di una corretta concezione del rapporto obbligatorio tributario, informato al principio di capacità contributiva (articolo 53 della Costituzione) significa appropriarsi della posizione della persona (articolo 2 della Costituzione), prima ancora che del cittadino, nella comunità sociale."
Non so quanto dovrebbe essere contento, qualsiasi individuo, dell'essere sostanzialmente in balìa del volere della maggioranza pro tempore, con ciò che è di sua proprietà che, in realtà, è tale solo nei limiti autoimpostisi dalla maggioranza stessa. Chi si lamenta del "pregiudizio contra fiscum" non riesce mai a dimostrare che questo non corrisponda al vero.
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