Scorie - Si arriva sempre allo stesso punto quando è ora di pagare il conto

Insistendo su un filone molto battuto in Italia e forse per dare man forte al presidente del Consiglio, Marcello Messori scrive l'ennesimo articolo della serie: serve una capacità fiscale comune europea. Formula che a sud delle Alpi è per lo più vista come soluzione dei problemi di finanza pubblica meno dolorosa di quella in cui ogni Paese deve sistemare il proprio bilancio, e che a nord delle Alpi è considerata sovente come esercizio di scrocconismo.

Questo l'inizio dell'articolo di Messori:

"Se la Bce confermerà gli orientamenti espressi nella riunione di marzo, azzerando i suoi acquisti netti di titoli governativi, tornerà alla ribalta un problema che la coesistenza di politiche monetarie e fiscali ultra-espansive aveva confinato ai margini: la sostenibilità dei debiti pubblici nei Paesi dell'euro area (Ea) con forti squilibri di bilancio. Durante le prime fasi della pandemia, la sospensione del Patto di stabilità e crescita ha consentito anche a tali Paesi di fronteggiare l'emergenza sanitaria, economica e sociale mediante l'erogazione di ingenti spese da parte dello Stato. Queste spese, pur causando forti aumenti nell'ammontare di debito pubblico, non hanno indotto problemi di sostenibilità grazie ai programmi di acquisto di titoli pubblici sui mercati finanziari secondari, attuati dalla Bce (o, per meglio dire, dall'eurosistema delle banche centrali). Tali programmi hanno offerto "reti di protezione" a maglie così strette che persino investitori finanziari prudenti hanno dato per scontato che i più problematici titoli pubblici dell'Ea, acquistati all'emissione, fossero poi trasferibili con vantaggio alla Bce. Potendosi rifinanziare presso la stessa Bce a tassi negativi, specie le banche dei Paesi più "fragili" dell'Ea hanno effettuato massicci acquisti di titoli pubblici nazionali, spesso a scadenza media o lunga, con tassi positivi anche se bassi; e, insieme ad altri intermediari finanziari, esse hanno realizzato plusvalenze grazie alla cessione alla Bce di una parte dei titoli pubblici in portafoglio in fasi favorevoli di mercato."

In sostanza, la monetizzazione indiretta ha reso artificialmente sostenibili i debiti anche dei Paesi con iu bilanci più scassati. Un esercizio del quale sono presentati i vantaggi per gli Stati interessati e per gli investitori che hanno beneficiato del Qe. Manca, però, la parte di chi non ha beneficiato dell'effetto Cantillon. Non perché non esista questa platea di soggetti, ma semplicemente perché renderla evidente potrebbe fare sorgere dubbi circa la natura salvifica della monetizzazione indiretta della spesa pubblica.

Fatto sta che, per effetto dei massicci acquisti della BCE, l'Eurosistema a fine 2021 deteneva circa il 27% del debito pubblico italiano, le banche il 25% e altre istituzioni finanziarie il 15%. Quindi, come scrive Messori, "più del 65% del debito pubblico italiano è – almeno indirettamente – "sterilizzato" rispetto alla volatilità dei mercati perché detenuto dai responsabili della politica monetaria o da operatori sottoposti a regolamentazione."

Ma se nei prossimi mesi la BCE smetterà di comprare a mani basse, cosa ne sarà della sostenibilità dei debiti pubblici? Chiaramente potrebbero esserci problemi per l'Italia e altri Paesi dai bilanci non proprio solidissimi.

Con il nuovo shock ocnseguente alla invasione russa dell'Ucraina, "l'indebolimento delle reti di protezione, offerte dalla Bce, accresce le probabilità di stagflazione e di insostenibilità degli squilibri di bilancio nei Paesi "fragili" dell'Ea, ridando così centralità al problema dei debiti pubblici nazionali."

Messori esclude subito un diverso utilizzo del NGEU, perché l'attuazione dei Piani nazionali di ripresa e resilienza "aumenta i debiti pubblici nazionali; essa impone, inoltre, ristrutturazioni dei processi produttivi che sono essenziali per lo sviluppo di medio-lungo termine, ma che possono frenare la crescita di breve termine in una fase di forte instabilità dovuta allo shock bellico."

Messori esclude anche che la risposta possa essere solo monetaria e ammette che "nei prossimi anni di guerra fredda, l'espansione dei bilanci pubblici nei Paesi più "fragili" andrà limitata."

Quindi?

"Per salvaguardare una convergenza fra Paesi all'interno della Ue, la risposta allo shock bellico dovrà basarsi sul rafforzamento di quella capacità fiscale centrale già introdotta, in via temporanea, grazie a Ngeu. Nel nuovo quadro, questa capacità centrale è chiamata a finanziare la produzione di beni e servizi che richiedono uno sforzo comune e che permettono un'uscita comune dalle emergenze economiche e sociali causate dalla pandemia e dallo shock bellico. La disponibilità di tali "beni pubblici" europei salvaguarderebbe la crescita dell'area, attenuerebbe le strozzature alla base di tensioni inflazionistiche, ridarebbe così spazi alle politiche monetarie e permetterebbe graduali ma significativi aggiustamenti nei bilanci nazionali dei Paesi ad alto debito."

E qui arriviamo sempre al solito punto: qualcuno dovrebbe pagare il conto oggi nella speranza di non essere costretto a farlo a tempo indeterminato (secondo dinamiche che in diversi Paesi, Italia inclusa, sono in essere da decenni). Dati i precedenti e la nota tendenza dei politici di ogni schieramento a considerare mai maturi i tempi per ridurre il deficit soprattutto via tagli strutturali di spesa pubblica, credo siano comprensibili le perplessità di chi, appunto, dovrebbe iniziare pagando il conto. E più vengono scritti articoli come quello di Messori, più tali perplessità potrebbero consolidarsi.

 

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