Scorie - E se a fallire fosse il regolatore?

Una caratteristica molto diffusa negli esseri umani consiste nell'invocare l'uso della legislazione o regolamentazione per obbligare altri a fare cose che spontaneamente non fanno, quanto meno non come si ritiene dovrebbero farle. Generalmente questa caratteristica è accentuata per chi, professionalmente, si occupa di insegnare ad altri.

Stefano Gatti, professore alla Bocconi, sostiene per esempio che le banche non stiano occupando abbastanza del rischio climatico.

A suo parere, si parla troppo poco "dei costi a cui si andrà incontro nel caso in cui si ritardi l'adozione di misure di contenimento a fronte dell'obiettivo net zero entro il 2050. Si tratta di un tema fondamentale non solo per l'economia ma anche per la vivibilità in un pianeta sempre più inospitale."

Eppure, citando un lavoro di ricerca di altri autori, rimarrebbero circa 8,5 anni "per realizzare la decarbonizzazione di un portafoglio di investimenti, assumendo l'obiettivo di mantenere la crescita della temperatura del globo entro gli 1,5 gradi Celsius rispetto ai livelli pre-industriali stabiliti negli accordi di Parigi. Se si dovesse ritardare di un quinquennio l'adozione di misure più rilevanti di abbattimento di CO2, sarebbe necessario accelerare negli anni seguenti il tasso di riduzione dal 10% medio annuo al 18 per cento. Se il ritardo dovesse dilatarsi fino al 2029, e lo scenario non è affatto improbabile, la riduzione media annua sarebbe a quel punto del 99% medio annuo. Di fatto, questo significherebbe non essere in grado di raggiungere gli obiettivi di contenimento del surriscaldamento globale."

Siccome le forze del mercato non stanno facendo abbastanza, a parere di Gatti, le autorità di vigilanza dovrebbero intervenire, per "evitare che il pianeta si avvii sullo scenario hot house. Se i regolatori sono in grado di spingere le banche all'adozione di approcci più rigorosi alla misurazione e al contenimento del rischio climatico, le forze di mercato potrebbero essere mobilitate per il raggiungimento di un obiettivo fondamentale per il genere umano. Si tratta di sano pragmatismo, non di idealismo: se il mercato da solo non si muove, ci vuole qualcuno che dall'esterno corregga questo pernicioso status quo."

Gatti ammette che i "fautori del libero mercato a tutti costi sono molto scettici. Si dirà: deve essere il mercato a premiare banche o imprese virtuose e a punire quelle non virtuose. Il fatto è che i dati continuano a dire che il mercato ha in sostanza già fallito e continuerà a fallire."

Non ho la pretesa di sapere esattamente cosa succederà nei prossimi decenni e, pur non volendo sottovlautare i rischi di cui tratta Gatti, credo che nessuno sia in grado di saperlo. In generale, però, una migliore definizione e protezione dei diritti di proprietà potrebbe essere utile, a mio parere, ad aumentare l'interesse dei singoli soggetti nel perseguimento di obiettivi che potrebbero beneficiare tutti.

Sarei comunque prudente nel considerare un fallimento del mercato il fatto che le cose non vadano come si vorrebbe. A maggior ragione quando si è di fronte a scenari caratterizzati da incertezza.

E se a fallire fosse il regolatore?


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