Scorie - Si va verso una nuova (non) soluzione

Una delle spiegazioni ricorrenti del più o meno consistente deflusso di depositi dalle banche regionali statunitensi, fa riferimento alle minusvalenze potenziali nei loro portafogli di titoli da detenere fino a scadenza, che a bilancio sono valutati al costo ammortizzato e non a prezzo di mercato.

Per di più i principi contabili americani, a differenza dell'IFRS9 adottato in Europa, non consente l'hedge accounting sui titoli classificati tra quelli da tenere fino a scadenza. Questo ovviamente non impedirebbe di coprire comunque il rischio di tasso, ma a livello contabile porterebbe volatilità di conto economico, perché la variazione di valore dei derivati sarebbe, appunto, registrata in conto economico, al contrario di quella (simmetrica) dei titoli oggetto di copertura.

Questo non giustifica la (non) gestione del rischio di tasso da parte di Silicon Valley Bank, tanto per restare al caso finora più eclatante, ma aiuta a capire meglio la situazione. Certamente, se si vuole evitare volatilità di conto economico, occorre anche limitare l'esposizione al rischio di tasso nel portafoglio HTM.

Ma SVB, i cui depositi a vista concentrati nel settore tech (a sua volta esposto al rischio di tasso) si erano gonfiati nel periodo in cui la politica monetaria era ultraespansiva, voleva al tempo stesso evitare di dover valutare a prezzo di mercato i titoli, e anche di coprire il rischio. E questo non solo per evitare volatilità di conto economico, ma anche perché una copertura finanziariamente efficace avrebbe prodotto margini probabilmente inferiori ai costi operativi, generando un problema di redditività.

In sostanza, il business model di SVB funzionava fino a quando la Fed continuava a mantenere una politica monetaria espansiva. Ridotto il doping monetario, il modello è imploso.

Evidentemente ogni esposizione bancaria a settori caratterizzati da leva elevata e negativamente impattati da tassi di interesse in rialzo è foriera di problemi, anche se nel caso di SVB la composizione del passivo (in gran parte a vista e concentrato) ha accelerato la crisi.

Parrebbe, quindi, che con un ritorno al doping monetario si potrebbe calciare avanti il problema, come già avvenuto in altre occasioni. Sennonché, come hanno notato alcuni analisti, il rialzo dei tassi di interesse ha abbassato le passività potenziali dei fondi pensione, soprattutto se a prestazione definita. Questi finirebbero di nuovo sott'acqua se i tassi di interesse tornassero ai livelli degli anni scorsi.

Quanto ai sistemi pensionistici pubblici, anche in questo caso le passività a lungo termine hanno un minor valore attuale se i tassi salgono, ma occorre tenere presente che di tali passività finora si sono tutti quanti più o meno disinteressati, soprattutto i governi.

I quali, al contrario, preferiscono sempre tassi rasoterra, per poter fare ulteriore debito a basso costo. D'altro canto, checché ne dicano da circa un secolo i keynesiani, gran parte degli investimenti pubblici hanno tutte le caratteristiche per ricadere nella definizione misesiana di "malinvestimenti", per i quali i tassi di interesse anche poco sopra lo zero sono come la kriptionite per superman.

In queste settimane stanno giungendo al pettine i nodi formatisi in anni di politiche monetarie ultraespansive. I salvataggi effettuati o prospettati potrebbero sembrare una soluzione, ma in realtà non farebbero altro che rimandare ulteriormente la soluzione, aggravando il problema.

Arriveranno nuove regole e anche questa volta si dirà che saranno efficaci. Mi permetto di dubitarne.

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