Scorie - L'ennesimo (dis)incentivo previdenziale

Come ho sottolineato più volte, i sistemi previdenziali a ripartizione (quasi ovunque quelli pubblici lo sono) funzionano come uno schema Ponzi, nel quale i versamenti correnti sono utilizzati per pagare le prestazioni correnti, a loro volta dipendenti sostanzialmente dall'andamento del Pil nominale.

Non serve quindi essere un bambino prodigio per dedurre che se la demografia e la crescita economica arrancano, come nel caso dell'Italia, il sistema si avvia all'implosione, pur passando er una fase intermedia in cui lo Stato attinge alla cosiddetta fiscalità generale.

L'adesione ai fondi pensione, che dovrebbe fornire una integrazione al sempre più misero assegno pubblico nei decenni a venire, non è mai realmente diventata massiva a quasi 20 anni dalla loro introduzione. Le prospettive previdenziali dei giovani italiani sono quindi tanto più plumbee quanto minore è la loro età anagrafica.

Di proposte per incentivare i versamenti ne sono state fatte tante, da versioni all'insegna del "nudge", a revisioni della fiscalità. La quale, peraltro, nel corso degli anni è stata addirittura peggiorata, con l'innalzamento fino al 20% dell'imposta sul risultato annuo maturato. 

Per non parlare della deducibilità dall'imponibile Irpef dei premi versati ai fondi pensione, che resta ferma a 5.164,57 euro annui, ossia l'equivalente di 10 milioni di lire, nonostante la sola inflazione dei prezzi al consumo, nel frattempo, abbia eroso il potere d'acquisto di quella cifra del 70%.

La fiscalità italiana è stata impostata per fare gettito negli anni di accumulazione, dove al contrario sarebbe bene consentire la capitalizzazione di ogni risultato maturato e prevedere una maggiore (possibilmente piena) deducibilità dall'Irpef dei versamenti ai fondi pensione. A fronte della promessa, spostata in avanti di decenni, di una minore imposizione Irpef al momento dell'erogazione delle prestazioni.

In sostanza, chiunque abbia fin qui governato non ha mancato di dirsi preoccupato per il futuro previdenziale dei giovani, salvo poi guardarsi dal sacrificare gettito corrente per recuperarlo decenni avanti. Una ipocrisia senza confini partitici piuttosto nauseabonda.

Fatta questa premessa, ecco l'ennesima proposta per migliorare le prospettive dei giovani, anche questa basata su un aumento di tassazione corrente. A perorare la causa è Giorgio Di Giorgio, professore alla Luiss, secondo il quale è "essenziale effettuare scelte di "visione"."

E in cosa consisterebbero queste scelte di "visione"? In qualcosa che "incentivi ulteriormente la creazione di nuovo risparmio previdenziale.

La parola "ulteriormente" a me pare da togliere. Ma tant'è. Avanti, quindi, con l'ennesimo "patto sociale" tra cittadini-consumatori e Stato, che "potrebbe portare alla creazione di un nuovo fondo pensionistico pubblico integrativo ("il fondo cash forward" nella proposta che emerge nello studio di Curcio, Di Giorgio e Zito sull'ultimo numero di «Economia Italiana») alimentato dalle spese di consumo e non dai redditi."

Come funzionerebbe?

"Il meccanismo proposto si basa sull'aumento dell'1% dell'aliquota Iva sugli acquisti di ogni bene e servizio, a fronte di un contestuale impegno da parte dello Stato di destinare il doppio del gettito ottenuto (2%, di cui 1% a carico del cittadino e 1% a carico della fiscalità generale) all'accumulazione di risparmio previdenziale, il cui investimento e la cui gestione dovrebbe essere periodicamente affidata a intermediari finanziari, vincitori di una gara pubblica. In concreto, si tratterebbe di utilizzare l'infrastruttura tecnologica già esistente e adoperata negli anni precedenti per il cosiddetto cash back, rovesciandone però la prospettiva e trasformandola in cash forward. Ogni acquisto di beni e servizi effettuato con mezzi di pagamento elettronici registrati consentirebbe al cittadino-consumatore di accumulare il 2% del valore speso in previdenza integrativa."

Secondo Di Giorgio ne "beneficerebbero in misura maggiore i soggetti più fragili dal punto di vista previdenziale, come i giovani, che hanno profili reddituali scarsi, ma scelte di consumo supportate dai mezzi economici messi a disposizione da genitori o parenti. Gli impatti sulla finanza pubblica sarebbero limitati e gestibili; inoltre, il minore gettito corrente sarebbe interamente destinato a finanziare spesa e consumi (e quindi gettito Iva) in futuro. L'effetto sui consumi sarebbe ambiguo perché la possibile riduzione dovuta all'aumento dell'aliquota Iva potrebbe essere compensato dall'effetto boost che dipenderebbe dal valore psicologico attribuito dal consumatore al contributo pubblico fornito alla propria previdenza integrativa. Anche la consapevolezza dell'importanza di pensare al futuro ne uscirebbe rafforzata."

Last, but not least la "creazione del "fondo di cash forward" avrebbe inoltre conseguenze positive sulla riduzione dell'utilizzo del contante: infatti, le spese in contante non beneficerebbero del contributo pubblico di pensione integrativa, sarebbero penalizzate dall'aumento dell'1% del costo di beni e servizi causato dall'aumento dell'Iva (e andrebbero in parte a coprire il fabbisogno finanziario associato all'intervento, riducendone la dimensione); di contro, il pagamento con strumenti elettronici consentirebbe di accantonare il 2% del consumo in beneficio pensionistico futuro. Peraltro, la fascia di popolazione che più utilizza gli strumenti di pagamento elettronico, ovvero quella più giovane, è esattamente quella per cui l'architettura di previdenza pubblica a oggi esistente appare insufficiente in termini prospettici."

In estrema sintesi, un aumento delle tasse su tutti quanti e un aumento anche del controllo sulle abitudini di consumo, dato che non solo dovrebbero essere fatti pagamenti con strumenti elettronici.

Non mi è chiaro se i giovani dovrebbero diventare gli addetti alla spesa di tutto il nucleo familiare (magari allargato), onde beneficiare maggiormente della misura. Cosa succederebbe, per esempio, se un pensionato pagasse con carta di credito o bancomat? Avrebbe un aumento della pensione? Non mi parrebbe l'obiettivo della proposta.

E allora non sarebbe meglio evitare di aumentare ulteriormente le tasse e, piuttosto, incrementare il ridicolo limite annuo di deducibilità dall'Irpef e consentire a genitori e nonni di contribuire (direttamente o indirettamente) ai versamenti dei figli/nipoti? Non sarebbe ora di spostare la tassazione dal risultato maturato annuo al solo momento dell'erogazione, come succede nella maggior parte dei Paesi civili?

Soprattutto, non sarebbe meglio evitare di creare un ennesimo fondo pubblico con relativi costi di funzionamento?

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