Scorie - Non il miglior momento per (auto)promuoversi
La saggezza popolare sconsiglia di prendere per oro colato il parere dell'oste sul proprio vino. Al più può essere considerata attività (auto)promozionale. Quando si tratta di attività "istituzionali", tuttavia, i mezzi di informazione tendono per lo più a non mettere in discussione le autovalutazioni dei diretti interessati, per esempio le banche centrali.
Capita, quindi, che proprio in questi giorni la Banca dei Regolamenti Internazionali abbia pubblicato uno studio condotto da un gruppo di lavoro composto da persone di una ventina di banche centrali avente ad oggetto gli acquisti di titoli operati dalle banche centrali in risposta alla crisi pandemica.
Gli acquisti su vasta scala di titoli (di Stato e non solo) da parte delle banche centrali iniziò a seguito del default di Lehman Brothers nel 2008 e portò le dimensioni dei bilanci delle stesse a livelli mai toccati in precedenza. Ovviamente il tutto a fronte di emissione di base monetaria.
La normalizzazione successiva era lungi dall'essere percepibile quando fu dichiarato che il Covid-19 era pandemico e iniziarono i lockdown. Per fronteggiare il blocco delle economie e l'espolosione dei deficit pubblici, le banche centrali ripresero e potenziarono i programmi di acquisto di titoli, con conseguente nuovo forte incremento dei bilanci.
A titolo di esempio, a fine 2007 il bilancio della BCE ammontava a 1285 miliardi di euro. A fine 2019 l'ammontare era pari a circa 4700 miliardi. A fine 2022, dopo aver toccato un massimo sei mesi prima a 8835 miliardi (la riduzione dell'allentamento iniziò a luglio), la BCE aveva ancora un bilancio pari a 7956 miliardi.
Per quanto riguarda la Federal Reserve, il bilancio ammontava a 627 miliardi di dollari a fine 2007. A fine 2019 era balzato a 3580 miliardi, per poi toccare un massimo a 9065 miliardi a fine settembre 2022 e chiudere l'anno a 8045 miliardi.
Una immissione di base monetaria di tali dimensioni, unitamente a politiche di tassi a zero o negativi, ha avuto pesanti effetti sulla compressione dei premi per il rischio e sulla zombificazione di diverse società, oltre a favorire quelli che Mises definiva "malinvestimenti".
L'inflazione monetaria per anni si era limitata a distorcere i prezzi delle attività finanziarie e reali, ma i lockdown prima e l'invasione della Russia ai danni dell'Ucraina poi, hanno finito per generare squilibri anche sui beni energetici e, infine su quelli di consumo.
A quel punto le banche centrali, che per anni avevano combattuto un pericolo deflattivo fittizio e si erano poi prodigate nel sostenere che l'inflazione dei prezzi al consumo era temporanea, hanno dovuto invertire la marcia, aumentando i tassi di interesse e interrompendo gli acquisti di titoli.
Per chi conosce la teoria economica della scuola austriaca era prevedibile che, riducendo il doping monetario, i malinvestimenti si sarebbero rivelati tali e molte attività eccesisvamente a leva avrebbero generato forti perdite a investitori e finanziatori.
Il punto, però, è che quell'epilogo era la conseguenza non già della riduzione del doping, che non può durare all'infinito, bensì degli anni di abbondante somministrazione precedenti.
Nel contesto dei fallimenti bancari di questi giorni e dei convulsi provvedimenti di salvataggio con conto a carico, in ultima analisi, dei clienti di altre banche e pagatori di tasse, l'uscita di un report che, in sintesi, (auto)promuove gli acquisti di titoli da parte delle banche centrali nell'era pandemica, a me pare surreale.
Il tutto perché i benefici sarebbero, a dire degli autori, superiori agli effetti collaterali, identificati in "ricadute su altri Paesi, eccessiva soppressione dei premi per il rischio, aumento delle disuguaglianze nella ricchezza, riduzione della liquidità dei mercati obbligazionari e perdite sui bilanci delle banche centrali."
Ebbene, secondo lo studio "gli effetti collaterali sono stati contenuti e non hanno compromesso l'efficacia complessiva degli interventi delle banche centrali".
Interessante, in particolare, la conclusione in merito alla eccessiva soppressione dei premi per il rischio. Si legge che "il ritiro delle politiche accomodanti dovrebbe limitare i rischi di zombificazione dell'economia, così come evitare diffuse svendite da parte di intermediari finanziari alla ricerca di liquidità."
Questo mentre Silicon Valley Bank implodeva dopo aver venduto frettolosamente una ventina di miliardi di dollari di titoli per far fronte ai deflussi di depositi, perdendo 1.8 miliardi e, soprattutto, trovandosi minusvalenze implicite di importo quasi pari al patrimonio netto. E Tesoro, Fed e FDIC si affrettavano ad assicurare anche i depositi oltre i 250mila dollari.
Autopromozione anche sugli effetti distributivi, quanto meno dal lato dei redditi, pur riconoscendo che gli effetti sulla distribuzione di ricchezza sono "meno chiari".
Che dire: non è il primo studio di questo tipo e dubito che sarà l'ultimo. Il timing della pubblicazione, però, rende grottesco un esercizio già di per sé discutibile.
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