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A una settimana dal voto, Milano Finanza ha rivolto tre domande ai rappresentanti dei principali 6 partiti che chiedono agli eletotri di essere mandati al potere.

La prima domanda riguarda i provvedimenti che vorrebbero assumere per far sì che gli italiani investano maggiormente i loro risparmi in titoli di emittenti italiani. Si tratta di un pallino di quel giornale, che peraltro fa a pugni con una corretta diversificazione dell'esposizione al rischio. Ma tant'è.

Nelle risposte si va dal rafforzamento dei Piani individuali di risparmio (Pir) su cui punterebbero Calenda e Salvini, che aggiungerebbe la riduzione della pressione fiscale per ridare competitività al Paese, ad agevolazioni fiscali varie proposte da PD e Forza Italia.

Giuseppe Conte rilancia la Banca pubblica per gli investimenti, i conti correnti di risparmio e la circolazione dei crediti fiscali (che diventerebbero di fatto una moneta parallela), tutte corbellerie che ho già a più riprese commentato.

Secondo Giorgia Meloni, favorita nei sondaggi, il problema è l'instabilità del Paese: serve "restituire all'Italia un governo forte che sappia formulare una strategia industriale, laddove finora si è navigato a vista." Che vuol dire tutto e niente, ma temo che, qualsiasi cosa significhi, il tasso di statalismo non sarebbe basso.

La seconda domanda, in parte collegata alla prima, riguarda i provvedimenti per favorire la crescita di Borsa Italiana. 

Carlo Calenda propone una "decisa semplificazione del prospetto per la quotazione" e "crediti di imposta per le spese di quotazione", che male non farebbero.

Conte, puntando sulla presenza nell'azionariato di Cassa Depositi e Prestiti, sostiene che Borsa "deve veder difesa la sua autonomia, perché noi abbiamo delle peculiarità, come l'ampia diffusione di PMI, su cui Borsa deve essere libera di mantenere e ampliare il focus." Da notare che il problema di Borsa Italiana è che si quotano solo piccole imprese, da alcuni anni, mentre le grandi escono ed eventualmente vanno su altri listini.

Enrico Letta pronuncia la formula magica del "percorso avviato dal governo Draghi" a partire dal "semplifire il quadro regolatorio".

Per Forza Italia vanno ridotti gli oneri fiscali e i costi di quotazione, mentre la Lega aggiunge l'abolizione della Tobin Tax, introdotta dal governo Monti e, come ampiamente previsto, capace di generare poco gettito aggiungendo un ulteriore elemento di penalizzazione nella competitività internazionale dell'Italia.

Per Giorgia Meloni bisogna ridurre tasse e burocrazia, ma ricorda anche che all'investimento di CDP in Euronext (che controlla Borsa) "non è corrisposta una adeguata presenza tricolore nel management, nonostande FdI lo avesse fatto presente".

Last, but not least, cosa fare per ridurre il debito pubblico? E quo emerge la grande convergenza.

Secondo Conte, "oggi la parola d'ordine è investire, a livello sia europeo sia di singoli Paesi." Come no. Soprattutto, "noi crediamo fermamente che il debito possa scendere garantendo innanzitutto la crescita sostenibile del Pil. Ma per fare questo dobbiamo investire, esattamente come fatto durante la pandemia". Anche perché "non possiamo pensare che il debito possa scendere solo a colpi di avanzo primario."

Per inciso, gli investimenti preferiti dal M5S sono in realtà spesa corrente per sussidi vari, a partire dal reddito di cittadinanza. Ma tant'è.

Enrico Letta punta a "riordino dei sussidi, tagli agli sprechi e lotta all'evasione fiscale". Sulle prime due ho dei dubbi, dato che il suo partito nell'ultimo decennio di governo quasi ininterrotto non lo ha fatto. Sulla terza non credo sarebbe sufficiente, ma in ogni caso attenzione: se il recupero di evasione deve servire a ridurre il deficit annuo, allora non può valere il mantra del suo utilizzo per far pagare meno i contribuenti "onesti".

Da Forza Italia, Antonio Tajani sostiene che il debito si stabilizza "attraverso una maggiore crescita del Pil". Gli fa eco Salvini, secondo cui "il debito si abbatte con la crescita", proponendo poi una ricetta lafferista in salsa padana.

Giorgia Meloni, come l'Avvocato del popolo, sostiene che "il debito pubblico non può essere gestito a colpi di avanzi primari" e che "può essere taglito solo se il Pil torna a crescere, e vigorosamente."

L'esperienza passata, insomma, sembra non aver insegnato nulla a questi signori, che peraltro rappresentano i partiti che ragionevolmente otterranno più voti.

Più realista Calenda, che parte dalla constatazione che per ridurre il rapporto tra debito e Pil "occorre che il tasso di crescita nominale del Pil sia superiore al costo medio del debito", per poi aggiungere che la crescita del Pil nominale è meglio se è maggiore la componente reale che quella del deflatore. E ammette che "occorre mantenere avanzi primari stabili e moderatamente positivi."

Come ottenerli, se riducendo il peso dello Stato o no (e temo che non sarebbe la prima), è un altro discorso, ma almeno non c'è il solo richiamo dei concorrenti, molto cialtrone, alla soluzione del problema via "crescita".

Veramente poco per essere ottimisti, direi.

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