Scorie - Il problema non si risolve senza fermare la stampante
Nel 2020 l'Argentina è andata in default per la nona volta, in una progressione che negli ultimi vent'anni ha visto un notevole accorciamento dell'arco temporale medio tra un'insolvenza e quella successiva.
Per quanto si voglia sofisticare l'analisi, un dato di fondo resta costante: a prescindere da chi fosse al governo, non è mai stata realmente messa sotto controllo la spesa pubblica, né la sua monetizzazione da parte della banca centrale.
Soprattutto dopo il default di fine 2001, l'Argentina è comunque riuscita a tornare a finanziarsi sul mercato, oltre che ricorrendo a prestiti del FMI. Salvo poi tornare a fare dafault. Anche questa breve memoria, soprattutto da parte di investitori privati, è figlia di un'era di politiche monetarie globali ultraespansive, con enormi quantità di denaro alla ricerca di rendimenti elevati (almeno dal punto di vista nominale), incuranti della pessima storia creditizia dell'emittente.
Anche quest'anno l'Argentina ha cambiato due volte il ministro dell'Economia e sta trattando l'ennesimo pacchetto con il FMI. L'inflazione dei prezzi al consumo si avvicina e potrebbe superare il 100% annuo, un livello che chiaramente è tipico di un sistema totalmente disfunzionale. D'altra parte solo nell'ultimo anno la quantità di moneta (con poche variazioni tra un aggregato e l'altro) è aumentata di circa il 150%.
Ora pare che la priorità del nuovo ministro sia mettere sotto controllo la spesa pubblica e frenare l'inflazione. Il problema è che queste iniziative finora non hanno sempre avuto vita breve, e la stampante della banca centrale non ha mai smesso di funzionare a pieno ritmo. Anzi.
Ma non esistono soluzioni indolori e, soprattutto, non è possibile frenare la crescita fuori controllo dei prezzi senza fermare quella stampante. Ammesso che qualcuno lo voglia veramente fare.
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