Scorie - Gli investimenti restino privati
Un secolo fa Ludwig von Mises dimostrò l'impossibilità del calcolo economico in un sistema integralmente socialista. In diversi scritti affermò poi che non esiste alternativa tra socialismo e capitalismo. Ogni tentativo di instaurare una terza via (interventista) avrebbe condotto al socialismo, perché per far fronte alle conseguenze indesiderate e inintenzionali di un intervento, lo Stato sarebbe intervenuto nuovamente. Fino, appunto al pieno socialismo.
Ho sempre in mente questi scritti di Mises ogni volta che leggo proposte di partenariato tra privati e amministrazioni pubbliche.
Per esempio quella contenuta in un articolo di Fabio Sattin Sul Sole 24 Ore, nel quale l'autore si chiede: "in un momento di difficoltà come quello che stiamo attraversando, probabilmente in peggioramento, e con particolare riferimento agli interventi in capitale di rischio, cosa può fare concretamente lo Stato per mitigare gli effetti avversi e agevolare il rilancio e la riqualificazione della nostra struttura industriale e produttiva?"
Sattin ritiene che "in un'economia di mercato è fondamentale che gli interventi dello Stato avvengano sempre in una logica di stretta cooperazione tra pubblico e privato e seguendo quelle che sono le best practice internazionali. La ratio di fondo è chiara: un intervento pubblico ha senso ed è giustificato laddove si identifichi, in specifici settori ritenuti di rilievo strategico per l'economia del Paese, un gap (fallimento) di mercato e quindi ha senso strutturare strumenti di intervento, possibilmente in partnership con il settore privato, che consentano di recuperarlo. Questo sempre in una logica di temporaneità e fino a quando tale gap non venga colmato e il mercato ristabilisca i propri equilibri in maniera autonoma e indipendente."
Il fallimento del mercato è sempre tale dal punto di vista di chi lo valuta. In pratica, è bollato come fallimento del mercato un esito del mercato non in linea con quanto desiderato.
Ciò detto, Sattin vorrebbe che lo Stato affiancasse i privati e poi si facesse da parte, una volta che il mercato abbia superato il "fallimento".
Siccome in Italia non ci sono grandi operatori di private equity, lo Stato dovrebbe promuoverne lo sviluppo, dato che "se il mercato da solo non va in questa direzione, potrebbe anche in questo caso essere opportuno da parte del settore pubblico uno stimolo che porti alla creazione di un grande operatore nazionale, strutturato in una logica di partnership pubblico-privato e che sia in grado di intervenire tempestivamente e professionalmente nelle operazioni di grandi dimensioni e di importanza strategica per il Paese. È innegabile che oggi simili interventi vengono effettuati ricorrendo direttamente alle risorse pubbliche (cosa notoriamente pericolosa e comunque contraria allo sviluppo di un'economia di mercato) o all'aiuto di grandi fondi di private equity internazionali, che ovviamente cercano di massimizzare i loro interessi."
In proposte del genere, in pratica, i pagatori di tasse devono in qualche modo coprire rischi o mettere soldi. E infatti:
"Eccoci quindi arrivati a una possibile ipotesi concreta di intervento: destinare un ammontare molto consistente di risorse pubbliche per stimolare la creazione di un grande operatore nazionale operante nel settore del capitale di rischio (private equity) strutturato in base alle logiche di collaborazione pubblico-privato appena menzionate e i cui obiettivi siano in linea con le necessità e aspettative sia dei soggetti privati che del settore pubblico, anche in termini di ritorni economici, i quali comunque devono essere presenti per entrambi gli attori coinvolti, seppur non necessariamente in misura perfettamente simmetrica."
Probabilmente in un contesto fiscale e normativo meno ostile, i privati sarebbero più propensi a effettuare questi investimenti, senza bisogno dell'aiuto statale.
Secondo Sattin, "l'intervento dello Stato, che dovrà comunque rimanere in una posizione di minoranza, dovrebbe fungere da catalizzatore e organizzatore, attraendo importanti investitori nazionali e internazionali e fissando le regole del gioco e gli opportuni meccanismi di incentivazione e allineamento degli interessi tra pubblico e privato, ma non da gestore. La gestione dovrà essere demandata a un organismo di governance autonomo e indipendente, composto da professionisti esperti del settore dove lo Stato potrà essere presente tramite i suoi rappresentanti, ma non in posizione tale da potere decidere autonomamente o porre veti, impegnandosi a rispettare quelle che sono le linee strategiche di intervento definite e concordate di comune accordo tra soggetto pubblico e operatore privato."
Sattin ammette, bontà sua, che non sia una cosa facile da realizzare.
A mio parere è impossibile e anche indesiderabile. Perché Ci sarebbe uno squiibrio da una parte o dall'altra: o lo Stato dirigista, o la socializzazione delle perdite di investimenti che dovrebbero essere solo privati.
Quanto alla temporaneità, credo sia molto più credibile l'esistenza di Babbo Natale.
Per carità, sognare a occhi aperti è legittimo. Lo è meno, credo, quando quel sogno potrebbe essere l'incubo di qualcun altro chiamato, suo malgrado, a pagare il conto.
Commenti
Posta un commento