Scorie - Se è considerato buono tutto il debito

Intervistato dal Sole 24 Ore, Paul de Grauwe, professore alla London School of Economics, ha risposto così a una domanda sulla distinzione (che a sud delle Alpi va di gran moda) tra debito buono e debito cattivo introdotta da Mario Draghi prima di diventare presidente del Consiglio in Italia:

"È in effetti un problema con una doppia dimensione. Abbiamo il debito che serve per finanziare gli investimenti e che aiuterà a migliorare efficienza e produttività del sistema economico: ciò lo renderà automaticamente sostenibile nel lungo termine. Questo è debito buono, un debito che potrebbe continuare a crescere senza che diventi fonte di preoccupazioni eccessive. Ciò però significa che anche le regole del Fiscal Compact debbano essere riviste perché non sono compatibili con una politica di investimenti pubblici. C'è poi la dimensione del debito cattivo, che sarebbe meglio non emettere: dato l'attuale livello dei tassi, però, anche questo debito non è poi così cattivo…"

Considerando che il debito pubblico richiede prima o poi che i pagatori di tasse se ne facciano carico, loro malgrado, si potrebbe obiettare che non esista alcun debito pubblico buono. Ma questo presuppone che le tasse siano considerate una violazione del diritto di proprietà. Una posizione che, purtroppo, è largamente minoritaria.

D'altra parte, ragionando in termini puramente finanziari, il debito può essere considerato "buono" se il suo costo è inferiore al rendimento dell'investimento con esso finanziato.

De Grauwe, e come lui tutti i fautori del "debito buono", dà per scontato che gli investimenti pubblici abbiano rendimenti superiori al costo del debito, giustificando l'emissione di quest'ultimo. Se questo fosse il caso, sarebbe sufficiente selezionare bene gli investimenti per non avere problemi di sostenibilità del debito.

Evidentemente le cose non sono sempre andate così, un po' perché il futuro è incerto, e un po' anche perché gli incentivi dei decisori politici non sono gli stessi di un imprenditore privato nel selezionare gli investimenti.

Ovviamente i tassi di interesse artificialmente compressi di questi tempi rendono apparentemente profittevoli una gran quantità di investimenti. Di qui l'invito a fare investimenti pubblici senza remore.

Posto che quasi nessun investimento di quelli in questione prevede un unico ciclo di spesa, credo che spesso sia tralasciato un aspetto tutt'altro che secondario: la posizione di partenza del debitore. Quando uno Stato, come l'Italia, ha già accumulato un debito pubblico pari al 160% del Pil, basta un piccolo rialzo del costo del debito o un piccolo calo del rendimento degli investimenti rispetto al previsto per generare un effetto a palla di neve nel rapporto tra debito e Pil.

Episodi del genere in Italia se ne sono visti diversi, anche nella storia recente. Eppure sembra che la storia non abbia insegnato nulla ai fautori del debito "buono". I quali, infatti, arrivano a sostenere che, dato l'attuale livello dei tassi, anche il debito "cattivo" "non è poi così cattivo".

Peccato che quando i nodi arrivano al pettine non siano mai questi signori a pagare il conto.

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