Scorie - Lo Stato (de)moralizzatore

Sono in tanti, in questi mesi, a dedicare le loro riflessioni al maggiore ruolo dello Stato in tempo di pandemia. Tra costoro Franco Gallo, secondo il quale "il richiamo all'impulso morale e alla tensione etica dovrebbe essere messo al primo posto nella lotta alle disuguaglianze e dovrebbe tornare a essere considerato un fattore irrinunciabile del progresso sociale e del vivere civile."

Lotta alle disuguaglianze che dovrebbe essere, secondo Gallo, la missione dello Stato. Gallo aggiunge che "in momenti drammatici come quelli che stiamo vivendo, le disuguaglianze potrebbero generare uno spaesamento dell'etica collettiva e un allentamento dei legami sociali. Potrebbero generare autoritarismo e deferenza e, soprattutto, sospetti: il sospetto che i più ricchi, i più raccomandati e i più furbi finiscano per ottenere vantaggi più grandi senza contribuire alla crescita (come nei recenti "incidenti" sulle priorità nella vaccinazione). Il che rende sempre più difficile ai governi far accettare riforme che comportino sacrifici condivisi da tutti."

Mi limito a segnalare che, in Italia, non è che lo Stato non abbia avuto un ruolo centrale negli anni scorsi. Un soggetto che intermedia oltre la metà del Pil non può essere considerato marginale. Per restare al caso delle vaccinazioni, Gallo dovrebbe tenere presente che i soggetti privati non hanno nessun ruolo, avendo lo Stato e le Regioni il totale controllo del programma. Se i risultati non sono soddisfacenti, non è certo per il mancato intervento dello Stato per lasciare spazio al mercato.

Prosegue Gallo:

"Siamo cresciuti nel rispetto dei principi fondamentali di solidarietà, sussidiarietà e garanzia del bene comune, espressamente indicati dagli artt. 2, 3 e 118 della nostra Costituzione. Non possiamo, perciò, non sentire la necessità, da una parte, di attribuire minor valore a quelle teorie che puntano sull'autoreferenzialità del mercato e, dall'altra, di dare, invece, spazio più ampio all'intervento ridistributore e allocatore dello Stato, condotto secondo una forte direzione morale e bilanciando i diritti proprietari con i diritti di cittadinanza."

Posto che non è affatto detto che tutti quanti debbano condividere ciò che Gallo ritiene necessario, torno a segnalare che lo Stato intermedia oltre metà del Pil. Quindi è certamente redistributore e anche allocatore. Che poi i risultati siano deludenti, non è certo perché prevalgano "teorie che puntano sull'autoreferenzialità del mercato".

Nell'articolo di Gallo non può ovviamente mancare un richiamo al pensiero dell'intellettuale contemporaneo di riferimento dei redistributori, ossia Papa Francesco. Dopodiché arriva l'invocazione dell'obiettivo di riduzione delle disuguaglianze che "deve essere al primo posto tra gli obiettivi etici che uno Stato regolatore deve perseguire nel rispetto dei diritti fondamentali dei suoi cittadini sanciti dalla Costituzione. Andrebbero, perciò, combattute con più convinzione le politiche che privilegiano i diritti del mercato a scapito di quelli sociali, rafforzano i vantaggi e le pretese di certi attori economici e politici e, nello stesso tempo, riducono quelli di altri."

Confesso che non mi sono mai accorto di vivere in un Paese in cui il mercato prevale su tutto. Lo stesso Gallo sente la necessità di precisare che "il recupero di valori morali non significa pensare a uno Stato monopologeno che allarga oltre misura l'area dell'intervento pubblico, lasciando spazi limitati alle libere iniziative del privato. A una necessaria, aumentata tensione etica deve, infatti, aggiungersi l'esplorazione di una zona intermedia che appartenga a un settore pubblico maggiormente integrato in una Unione europea sempre più vicina al modello federale; una zona che sia in grado tanto di combinare la capacità innovativa degli attori privati con quella regolativa degli attori pubblici, quanto di svolgere politiche redistributive, di riqualificazione del lavoro e di contrasto al dumping ambientale e sociale."

Che è poi quello che io leggo costantemente da quando ero ancora minorenne. Peccato che, oltre trent'anni dopo, lo Stato non abbia mai mostrato segni della lungimiranza invocata da Gallo. Né potrebbe, a mio parere, per l'essenza stessa della sua natura. Tenendo anche presente che è soggettiva la linea di confine ideale tra intervento pubblico e libera iniziativa.

Ma secondo Gallo il capitalismo, "per sua natura, crea un sistema economico solo rispettoso della logica della propria valorizzazione in funzione del profitto e sottovaluta il ruolo dello Stato come creatore di valore pubblico e garante del pieno impiego e dello sviluppo sociale."

Quale sia il valore pubblico mi sfugge, mentre per quanto riguarda la funzione di garante del pieno impiego direi che non sia necessario essere un fervente antistatalista per affermare che siamo al ridicolo. Se bastasse lo Stato a garantire il pieno impiego, il socialismo avrebbe funzionato. La teoria (Mises, un secolo fa) e l'evidenza empirica hanno dimostrato che non è così.

Tuttavia, secondo Gallo è "evidente che la scelta da fare in sede di ripartenza post-pandemia non può essere più tra interventismo e liberismo, tra Stato e mercato, bensì fra due tipi di Stato: uno, più invasivo e, per certi versi, produttivistico e meno presente nel sociale; l'altro, non alternativo al mercato, ma pur sempre sussidiario, regolatore, ridistributore, portatore di grandi valori di moralità collettiva e, perciò, promotore sia della cittadinanza attiva, sia dell'innovazione, sia della società dell'apprendimento. Solo quest'ultimo tipo di Stato ha la sua legittimità etica nel principio di uguaglianza e solo a esso si può affidare il compito di rimuovere, come dice l'art. 3 della nostra Costituzione, «gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana»."

Credo che lo Stato invocato da Gallo fallirebbe tanto quanto quello che ritiene di dover scartare, anche ammesso che chi incarna pro tempore lo Stato volesse seguirne gli auspici. Mi fa anche rabbrividire l'idea di uno Stato "portatore di grandi valori di moralità collettiva", perché suppongo che il presidente della Repubblica popolare cinese si riconoscerebbe in questa definizione. 

E' esiziale per la libertà attribuire a chi ha il monopolio legale dell'uso della forza una funzione moralizzatrice della collettività. A mio parere, sarebbe peggio dello Stato che sperpera soldi dei pagatori di tasse in Alitalia e simili.

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