Scorie - Chi stabilisce cosa è utile?
Mi è già capitato di imbattermi in articoli su MF a firma di Gianluigi De Marchi, etichettato come consulente finanziario indipendente.
De Marchi ha deciso di partecipare al dibattito sulle criptovalute e sulla più nota di esse, ossia Bitcoin. Per farlo, come molti altri, si è cimentato nella distinzione tra prezzo e valore, finendo per scrivere autentiche stupidaggini.
Secondo De Marchi, tra i due concetti "esiste una grande differenza. Il valore di un bene è rappresentato dall'utilità che esso genera per chi lo possiede, mentre il prezzo è l'espressione monetaria di un oggetto scambiato fra due parti. Per capire la differenza in concreto, pensiamo che l'aria è un bene preziosissimo (senza saremmo tutti morti) ma ha un prezzo pari a zero, mentre un'opera di Fontana ha un prezzo di milioni di dollari, ma ha un valore pari a zero (è un pezzo di lenzuolo strappato…). Il bitcoin ha un prezzo determinato dall'incontro fra domanda e offerta sulle varie piattaforme che lo negoziano, ma oggettivamente non ha valore."
Segue poi la solita spiegazione che quasi nessuno lo usa per comprare beni o servizi e che neppure lo si può considerare un investimento, ma solo strumento di trading. Il tutto perché "l'investimento ha caratteristiche di solidità e di ancoraggio a entità reali."
Conclude quindi affermando che "se milioni di persone corrono a comprare bitcoin, il prezzo sale, se cominciano a vendere il prezzo scende, e non ci sono parametri oggettivi per fissarne un valore reale."
De Marchi dimostra una grave lacuna nella conoscenza del concetto di utilità. Peraltro è in folta compagnia.
Che in un mercato (ipotizziamo che sia libero) il prezzo si formi dall'incontro di domanda e offerta è vero. E tanto maggiori sono le quantità scambiate e il numero degli scambi, tanto più un operatore potrà ipotizzare che a quel prezzo il bene in questione potrà essere negoziato.
Ogni scambio, però, deriva necessariamente dalla valutazione delle parti: ognuna attribuisce un valore maggiore a ciò che riceve nello scambio rispetto a ciò che cede. Altrimenti non avrebbe motivo di fare quello scambio.
Questa valutazione è soggettiva. In altri termini, è soggettivo il concetto di utilità. Ne deriva che non ha senso la pretesa di stabilire erga omnes che un bene abbia un determinato valore reale.
De Marchi, nel paragone tra l'aria e un'opera di Fontana, sbaglia due volte. In primo luogo, non è l'aria in quanto tale, ma l'aria la cui composizione chimica sia compatibile con la vita umana a dover essere oggetto di analisi. E' evidente che ci sono luoghi nei quali il prezzo non è zero, per avere un'aria respirabile, mentre nei luoghi dove comunemente vive l'uomo ve n'è per ora una quantità tale da non essere sufficientemente scarsa per avere un prezzo diverso da zero.
In secondo luogo, De Marchi pretende di conferire oggettività al proprio giudizio soggettivo quando stabilisce che un'opera unica, comprata per milioni di dollari, ha un valore pari a zero, in quanto "è un pezzo di lenzuolo strappato". Evidentemente chi ha comprato quell'opera ha un punto di vista diverso da quello di De Marchi.
In ultima analisi, il prezzo di qualsiasi bene dipende dalle valutazioni soggettive di un numero più o meno grande di persone. Questa è la realtà dei fatti.
L'ancoraggio a entità reali non ha alcun senso oggettivo, dato che anche per quelle entità il valore di scambio dipende da valutazioni soggettive. Con questo non intendo negare che i valori di scambio attribuiti in lunghi archi di tempo a determinati beni non incidano sulle valutazioni che di essi faranno gli individui. Ma nulla vieta che ciò cambi in futuro, e sempre per via di valutazioni soggettive.
In un mercato libero o, in termini più ampi, in una società libera, ognuno può valutare qualsiasi bene o servizio come meglio crede. Fortunatamente ciò che Tizio ritiene inutile non è detto che debba esserlo per Caio. E viceversa.
I problemi arrivano quando Tizio pretende di stabilire cosa sia utile anche per Caio, magari a spese di Caio. Ma questo è un altro discorso.
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