Scorie - Pagare per farsi dire come pagare

Come è noto, il fisco italiano non solo è particolarmente esoso, ma pure astruso. Non di rado i testi legislativi sono scatole vuote che poi è l'amministrazione finanziaria a riempire. Le circolari dell'Agenzia delle entrate diventano quindi, spesso, i documenti che danno sostanza ai testi di leggi e decreti che disciplinano la materia fiscale.

Ma anche le circolari non chiariscono tutti i dubbi, soprattutto a causa del vizio tipicamente italiano di voler disciplinare minuziosamente ogni singola questione, senza limitarsi a fornire principi applicabili ricorrendo anche al buon senso. Mi rendo peraltro conto che buon senso e tassazione messe assieme formano un ossimoro, in Italia soprattutto.

Capita, pertanto, che i pagatori di tasse, tramite i loro consulenti fiscali, rivolgano interpelli all'Agenzia delle entrate, onde cercare di definire ex ante come applicare la normativa a un caso concreto, evitando di essere poi soggetti a contestazioni ex post. Tutto questo ha ovviamente già un costo per i pagatori di tasse, perché i loro consulenti non lavorano gratuitamente.

Edoardo Milani e Paolo Scarioni osservano, in un articolo sul Sole 24 Ore, che "negli ultimi due anni le istanze di interpello presentate all'agenzia delle Entrate sono cresciute considerevolmente. Ciò a scapito dell'emissione di circolari, ossia di documenti di prassi amministrativa che hanno la differente caratteristica di affrontare le tematiche in modo più sistematico e argomentato, e che perciò permettono una maggiore comprensibilità del pensiero dell'Amministrazione. Questo disinvolto ricorso all'istituto dell'interpello impegna massivamente le risorse dell'agenzia delle Entrate, la quale non può sottrarsi dal rispondere, come prevedono sia l'articolo 11 della legge 212/2000 (Statuto del contribuente), sia, peraltro, lo stesso Statuto dell'Agenzia (si veda l'articolo 4, comma 1, lettera a)."

La soluzione quale sarebbe? Rifacendosi a una analoga previsione del fisco statunitense, Milani e Scarioni si chiedono: "perché non richiedere una «user fee» per l'attività di consulenza svolta a favore del contribuente?"

E giustificano la loro proposta:

"Immaginare di fare pagare ai contribuenti l'attività di consulenza prestata dall'Amministrazione finanziaria non è un'idea così peregrina come potrebbe sembrare a prima vista. Infatti, nel rilasciare le proprie determinazioni in relazione a casi concreti e personali, l'agenzia delle Entrate (in modo del tutto analogo a quanto fa l'Internal revenue service) presta un servizio pubblico di consulenza giuridica, che andrebbe propriamente remunerato, anche alla luce del principio di «economicità» sancito dall'articolo 1, comma 1, della legge 241/1990 (peraltro, anche il servizio «di pubblicità immobiliare e di conservazione dei registri immobiliari» reso dalla stessa agenzia delle Entrate in base all'articolo 4, comma 1, lettera g-quinquies, del proprio Statuto, è remunerato sebbene sotto forma d'imposta: le ipocatastali). Del resto, è indubbio che tale attività abbia una «rilevanza economica» e che, pertanto – differentemente dai cosiddetti «servizi privi di rilevanza economica» (quali, ad esempio, scuola, sanità ed assistenza sociale), di cui si fanno carico, in genere, le pubbliche amministrazioni con oneri a carico della fiscalità generale –, per essa possa essere richiesto ai contribuenti un corrispettivo commisurato alla prestazione effettivamente resa."

In sostanza, i pagatori di tasse finirebbero per pagare tanto i propri consulenti, quanto l'Agenzia delle entrate per il solo fatto di (sperare di) avere le idee chiare su come pagare le tasse. 

A me pare allucinante, ma mi rendo conto che chi di mestiere campa su queste attività tenda a scartare, magari tacciandola di semplicismo, una proposta alternativa. Ossia, se proprio le tasse devono essere pagate, per lo meno che la legislazione sia semplice e di facile applicazione. Ciò limiterebbe il tutto a una (pur illegittima) violazione della proprietà del pagatore di tasse, ma per lo meno non gli infliggerebbe anche la beffa di dover pagare somme extra per predisporsi a essere soggetto passivo della violazione suddetta.

Un'ultima considerazione: ciò che ha "rilevanza economica" non può essere stabilito da norme di legge. Se una persona ha una conoscenza anche vaga della scienza economica, non può non rendersi conto che scuola, sanità e assistenza sociale hanno rilevanza economica, checché ne dica la normativa. Prova ne sia che se ne fanno carico i pagatori di tasse e che queste voci di spesa pesano per circa un terzo del Pil pre pandemia. 

Se questa non è rilevanza…

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