Scorie - Non rivoluzioni bolsceviche, ma quasi
Qualche tempo fa mi sono imbattuto in un articolo di Carlo Rovelli, noto fisico teorico, pubblicato sul Corriere della Sera. Se non avessi letto che si trattava del Corriere, avrei pensato che fosse il Manifesto. Il ragionamento di Rovelli, infatti, è quello classico dei socialisti e comunisti di ogni tempo e luogo.
Partendo dall'osservazione dell'aumento della disuguaglianza e notando l'impatto economico asimmetrico della pandemia sulla popolazione, Rovelli scrive:
"Mi sembra che questo sia il momento per la cosa pubblica, cioè lo Stato, di pensare in termini di interesse collettivo e pensare ad equilibrare i disequilibri. Mi sembra sia il momento, cioè, di riparlare di ridistribuzione. Ridistribuzione è sempre stata funzione principale dello Stato."
In effetti lo Stato non può far altro che redistribuire risorse esistenti. Mi aspetterei, però, che una persona a cui certo non fa difetto la quantità di neuroni andasse un po' oltre questo peana alla redistribuzione. Per esempio per capire quali siano le cause dell'aumento della disuguaglianza.
Rovelli pare però tenerci a non passare per un comunistone.
"Non sto parlando di rivoluzioni bolsceviche: sto parlando sommessamente di ricominciare a portare le imposte nella direzione di quelle che erano solo pochi decenni fa. In Italia esistevano imposte sulle successioni con aliquote alte e progressive (in Francia ci sono ancora) e non irrisorie come quelle attuali, imposte sui patrimoni (in Francia ci sono ancora), imposte sugli utili con aliquote del 40-50%. Fino al 1983 l'Irpef aveva 22 scaglioni e aliquote tra il 10 e il 72%. Il sistema aveva effetti ridistributivi, era serenamente accettato socialmente, era condiviso a livello politico e tecnico, e ha permesso alti tassi di crescita e di occupazione e una crescita economica notevole e relativamente equilibrata di tutte le fasce sociali."
Parrebbe, quindi, che il problema dell'Italia sia una tassazione troppo bassa e non sufficientemente progressiva. Le classifiche mondiali restituiscono una realtà diversa, ma evidentemente Rovelli non se ne cura.
La cosa più preoccupante, però, mi sembra l'operazione di riavvolgere il nastro di 40-50 anni e dedurre che con la curva Irpef dell'epoca ci fossero alti tassi di crescita e occupazione. Eppure l'aumento della spesa pubblica in deficit degli anni 70 e 80 e la rincorsa delle tasse alla spesa pubblica sono tra i peggiori mali che ancora oggi fanno sentire le loro conseguenze sull'Italia.
Conclude Rovelli:
"Ci sono centinaia di morti ogni giorno. La gente ha problemi economici seri. E intanto la Borsa cresce e miliardari brindano. A me non piace, e forse non sono il solo. Che ciascuno faccia la sua parte, contribuendo come può. Chi più può, secondo me deve contribuire di più. Mettiamoci la mascherina, restiamo a casa se possiamo, anche quando uscire non è vietato. Questo, mi sembra, è il momento della difficoltà, e quindi della solidarietà. La politica ritrovi il coraggio di riequilibrare la ricchezza, perché questo è il patto sociale."
Evidentemente non si chiede come mai la Borsa cresca nonostante la pandemia e i suoi effetti sull'economia reale. Quindi tanto vale usare il randello fiscale. Ma non serve essere un genio per rendersi conto che alla base del totale scollamento tra andamento dei prezzi delle attività finanziarie e quello dell'economia vi sia la grande quantità di creazione monetaria posta in essere pressoché da tutte le banche centrali a ritmi ancora più consistenti rispetto a quelli degli anni scorsi.
Invece di invocare soluzioni socialiste, sarebbe il caso di invocare la fine del socialismo monetario, che è la vera fonte di redistribuzione in senso regressivo. E non da oggi.
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