Scorie - La manna del Covid per i consumatori di tasse
Una delle prime nozioni che vengono insegnate a chi si avvicina al mondo degli investimenti riguarda la relazione tra rendimento atteso e rischio.
Tale relazione è stata forse vittima dello scientismo che prevale anche in finanza, con la pretesa di quantificare il futuro estrapolandolo inevitabilmente dal passato. Tuttavia in un mercato libero da interventismo è una relazione che ragionevolmente ci si può attendere si verifichi.
Il fatto che oggi, al culmine di anni di pesanti interventi fiscali e soprattutto monetari, i premi per il rischio risultino artificialmente compressi, non fa altro che confermare il progressivo allontanamento da un sistema di mercato a favore di una pianificazione più o meno socialisteggiante.
Temo che l'esito di tutto questo non sarà indolore, ma non è di questo che intendo occuparmi in questa sede.
Ho spesso pensato alla violazione della relazione di mercato tra rendimento e rischio osservando l'andamento delle retribuzioni medie nel settore pubblico. Non di rado si sentono lamentele da parte dei rappresentanti sindacali di categoria; lamentele che trovano ampia eco sui mezzi di informazione, che intervistano o affidano la scrittura di editoriali a esponenti dello stesso mondo del pubblico impiego (tali sono, in gran parte, i professori universitari che sovente predicano dalle prime pagine dei giornali).
Il 2020 ha fornito l'ennesima dimostrazione della enorme differenza tra la sicurezza di cui gode chi lavora nel pubblico impiego rispetto a chi lavora nel privato. Mentre i primi hanno continuato a percepire regolarmente lo stipendio, talvolta essendo di fatto inattivi non essendo praticabile il lavoro da casa, i secondi hanno vissuto mesi di cassa integrazione (peraltro non sempre percepita) e pesanti incertezze sul futuro.
Ritengo sia una buona euristica pensare che tanto più piccola è l'impresa in cui un dipendente lavora, tanto maggiore è il rischio imprenditoriale che, volente o nolente, in parte condivide con il datore di lavoro. E questo perché nessuno si mobilita se chiude un'impresa con una manciata di dipendenti, mentre se sono centinaia la via che conduce alla chiusura è molto più lunga e costellata di interventi non di rado non risolutivi, ma che per lo meno fanno guadagnare tempo (ovviamente a spese dei pagatori di tasse).
In molti casi, quindi, non solo gli stipendi dei dipendenti pubblici non sono inferiori a quelli del privato, ma consentono di dormire sonni molto più tranquilli. E' vero che in anni in cui è stato impossibile spendere e spandere come avrebbero voluto i governanti di turno, le condizioni relative dei dipendenti pubblici sono peggiorate, ma il punto di partenza era spesso scandalosamente sbilanciato.
La sospensione dei vincoli europei di finanza pubblica e la prospettiva di poter spendere centinaia di miliardi hanno però posto le basi per fare infornate di migliaia di assunzioni, oltre a rinnovi contrattuali che vanno ben oltre il recupero dell'inflazione (almeno di quella ufficiale).
Come scrive Gianni Trovati sul Sole 24 Ore:
"Dopo lo sciopero (fallito) di dicembre bisognerà trovare il modo di far partire le trattative, per portare nelle buste paga uno stanziamento che appare pesante, ma su cui si allungano le ombre di un rinvio della ripresa, cui sono appese le prospettive di finanza pubblica. Con l'ultimo rabbocco della legge di bilancio, il fondo per i nuovi contratti degli statali (2019-2021) vale 3,8 miliardi; il suo ribaltamento sui dipendenti di sanità, enti territoriali e università ne costa altri 2,9. I 6,7 miliardi complessivi comportano un aumento medio del 4,07%: cioè 2,3 volte l'inflazione del periodo; si parla di aumenti tra 65 e 191 euro, a seconda di anzianità e mansioni. Nonostante la crisi, il piatto è più ricco rispetto ai tempi ordinari: nel 2016-18, quando il rinnovo arrivò dopo dieci anni di congelamento delle buste paga, i costi superarono di poco i 5 miliardi e gli aumenti medi furono da 85 euro. Oggi sul tavolo c'è il 26% in più."
Trovati rileva anche che, a livello statale, "premia la vicinanza al centro del potere, che offre a Palazzo Chigi stipendi medi del 67% più alti rispetto ai ministeri."
E così, mentre milioni di persone nei prossimi mesi saranno costretti a chiudere le loro imprese e i loro collaboratori resteranno disoccupati anche a causa delle restrizioni imposte dal governo, per i "posti fissi" di zaloniana definizione non tutto il male del Covid sarà venuto per nuocere. Sarà questo che intendono quelli che ripetono il mantra che ogni crisi presenta delle opportunità?
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