Scorie - Cosa direbbe la Lady di ferro?

Come è noto diversi governi, soprattutto in Europa, hanno fatto della "rivoluzione verde" un mantra, annunciando mirabolanti obiettivi per i prossimi decenni, probabilmente per coprire i propri fallimenti contemporanei.

Che vi sia in atto un cambiamento climatico è evidente. Che tale cambiamento sia riconducibile prevalentemente alle attività poste in essere dal genere umano è il dogma politicamente corretto sfidando il quale anche scienziati di lunga esperienza e competenza possono stare certi di essere relegati al ruolo di paria nel mondo accademico, oltre a essere tacciati delle peggiori nefandezze da un sistema di mezzi di informazioni sui quali spesso a scrivere sono persone prive delle necessarie competenze in materia.

Essendo io stesso privo di tali competenze non intendo entrare nel merito delle cause dei cambiamenti climatici. Sono però abituato a dubitare di versioni dei fatti che non ammettono discussione, soprattutto quando non si tratta di fenomeni autoevidenti.

Da libertario guardo alla "lotta al cambiamento climatico" dalla prospettiva di chi vede ogni giorno gli Stati cercare nuovi pretesti per pianificare e controllare la vita degli individui, comprimendone la libertà.

Il presupposto in base al quale i governi e una folta rappresentanza della comunità scientifica (finanziata per lo più con soldi provenienti dai governi, ossia dalle tasse) ritengono inevitabile sottrarre al mercato la soluzione di questo problema, consiste nel ritenere che si tratti di un bene pubblico e che il mercato fallisce.

Ma dietro ai presunti fallimenti del mercato vi sono spesso interventi legislativi che generano incentivi distorti. Murray Rothbard si occupò del tema a più riprese, e personalmente trovo ancora oggi attuale il suo articolo "Law, Property Rights and Air Pollution" scritto nel 1982. 

Rothbard basava le sue argomentazioni sull'applicazione coerente del principio di non aggressione a tutela del diritto di proprietà, includendo l'inquinamento tra le forme di aggressione. Il fatto stesso che molti beni siano di proprietà pubblica rendono più semplice inquinare senza essere chiamati a risarcire il danno. Non di rado sono le stesse aziende pubbliche a inquinare.

Tutto ciò detto, che i governi composti da verdi e progressisti vari usino anche la causa ambientalista per aumentare la pianificazione non mi stupisce. Trovo però triste che il conservatore Boris Johnson, già peraltro fallimentare su altri fronti, si sia dato all'ambientalismo statalista con uno zelo da novello pianificatore, arrivando di recente a sancire che dal 2030 in Gran Bretagna non saranno più messe in vendita nuove auto alimentate a benzina o diesel. Stessa sorte toccherà poi alle ibride a partire dal 2035.

Annunciando la "rivoluzione industriale verde", Johnsono ha dichiarato:

"La nostra rivoluzione industriale verde sarà alimentata dalle turbine eoliche della Scozia e del Nord-Est, spinta dai veicoli elettrici costruiti nelle Midlands e potenziata dalle ultime tecnologie sviluppate in Galles, quindi possiamo attenderci un futuro più prospero e più verde."

Ha poi parlato di investimenti per 1,3 miliardi di sterline per creare nuovi punti di ricarica per veicoli elettrici e di centinaia di milioni di finanziamenti statali per incentivare gli acquisti di auto elettriche, oltre a ipotizzare per Londra il ruolo di "centro globale della finanza verde."

Inoltre, le case di nuova costruzione entro il 2023 non potranno più essere riscaldate a gas, ma sarà mescolato idrogeno pulito ai gasdotti per ridurre le emissioni.

Tra il plauso degli ambientalisti e le critiche dell'opposizione che, sentendo la concorrenza governativa, ha ovviamente subito affermato che gli investimenti ipotizzati sono briciole, l'Associazione dei produttori automobilistici si è già schierata a fianco del governo, unica mossa per cercare poi di ottenere sovvenzioni per se stesse e incentivi all'acquisto per gli automobilisti.

Resta il fatto che, a meno che nel prossimo decennio il settore dell'elettrico faccia enormi progressi, da un punto di vista economico i mezzi elettrici non saranno competitivi con quelli a combustione interna. Se così fosse, si perpetuerebbe la situazione odierna, con i pagatori di tasse che sovvenzionano l'acquisto di auto dalla limitata autonomia e dai prezzi comunque inaccessibili per l'automobilista medio, quindi favorendo chi ha redditi (ben) superiori alla media.

Non male per chi sta nello stesso partito che fu di Margaret Thatcher. 


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