Scorie - La differenza tra imposta e prestito spiegata a una sardina

Poco prima che iniziasse l'emergenza sanitaria era sorto in Italia l'ennesimo fenomeno politico sinistrorso, ancorché dichiaratamente apartitico. Mi riferisco al movimento delle Sardine, che così si definivano per rappresentare il modo in cui avrebbero affollato i luoghi di ritrovo e che ovviamente in tempi di distanziamento sociale, se vogliono dare segni di vita, devono farlo mediante mezzi di comunicazione, più o meno social.

Qualche giorno fa mi è capitato di sentire, sull'ipotesi di introdurre una nuova imposta patrimoniale per far fronte a parte delle maxi spese pubbliche decise dal governo in queste settimane, il parere di Mattia Santori, uno dei fondatori, nonché quello che più di frequente viene invitato a dire la sua su tutto lo scibile, con giornalisti (soprattutto sinistrorsi) che pendono dalle sue labbra come se fosse un oracolo.

Era ospite a Otto e Mezzo. Direi l'ospite ideale, data la non tanto celata predilezione della conduttrice del programma per i giovani sinistrorsi di belle speranze e ritenuti telegenici.

Ecco, dunque, il Santori pensiero:

"La patrimoniale non è altro che un prestito di solidarietà. Se la chiamassimo così le persone sarebbero meno reticenti."

Il ragionamento proseguiva sostenendo che chi fosse chiamato a pagare la patrimoniale lo farebbe per il proprio bene, perché consentirebbe ad altri di stare meglio e di questo trarrebbe giovamento.

Va detto che, in effetti, chi dona ad altri denaro o presta opera di volontariato, effettivamente lo fa perché contribuire a migliorare le condizioni di altre persone gli genera benessere. Ciò è dovuto all'assioma fondamentale dell'azione umana, per cui ogni azione è diretta a rimuovere uno stato di insoddisfazione nel soggetto agente, ossia a migliorare la sua condizione, ovviamente secondo il soggettivo punto di vista dell'agente stesso.

Il problema, non affatto trascurabile, è che un'imposta non è un prestito, perché un prestito si suppone debba essere restituito. Per di più l'imposta non è pagata volontariamente, ma dietro la minaccia dell'uso della forza da parte dello Stato.

Non è raro che i giovani sinistrorsi dicano sciocchezze del genere senza che sia fatto loro notare quanto siano macroscopicamente sbagliate. E' sempre stato così: lo fu nel  '68, quando erano giovani i miei genitori, lo fu quando ero giovane io, negli anni Novanta, di cui ricordo ancore le farneticazioni dei leader (o supposti tali) dei centri sociali, ragazzi che non studiavano, essendo cronicamente universitari fuori corso, né lavoravano, e che nonostante avessero molto tempo libero mi davano l'impressione di non trovare neppure cinque minuti per lavarsi (che lo facessero per boicottare le multinazionali dei prodotti per l'igiene personale?).

Evidentemente lo è ancora oggi. Ovviamente ognuno può pensare e dire ciò che vuole, ma un'imposta resterà sempre qualcosa di diverso da un prestito. Le licenze poetiche vanno bene, appunto, se si scrivono poesie. Non se si parla di tasse.

 "Se io domenica mattina vado a votare - ha sottolineato il Cardinale- è perché sono convinto che esista un bene comune che riguarda te, riguarda tutti noi. Siamo un 'noi' di cui dobbiamo tenere conto. E mi fa paura, invece, questo atteggiamento individualistico, in fondo, di non scegliere. E, poi, quante nazioni ci sono nel mondo dove non si vota, dove c'è una testa che ha già pensato tutto... In fondo noi viviamo in una democrazia... E' un valore aggiunto anche la democrazia. In democrazia senti cose dritte, senti cose storte, senti cose che condividi e non condividi... Certamente tutti abbiamo il dovere di informarci, di farci una coscienza. Il voto è esprimere un giudizio".

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