Scorie - Benevolenza del potere cercasi

In un articolo pubblicato sul giornale controllato dalla sua associazione, Maria Cristina Piovesana, Vicepresidente di Confindustria per l'ambiente, la sostenibilità e la cultura, dedica alcune riflessioni ai "rischi di prendere decisioni affrettate" in merito alla transizione verde.

Piovesana esordisce così:

"La sostenibilità è diventata nel tempo un concetto sempre più esteso e pervasivo, che permea ogni ambito del nostro vivere civile, pubblico e privato: dall'ambiente alla finanza, dagli investimenti ai comportamenti, dall'impresa alla famiglia, dal clima alla demografia. Un perimetro sempre più esteso di cui, soprattutto riguardo alcune scelte e indirizzi da parte dell'Europa, si rischia di perderne il senso e gli obiettivi di fondo."

Dopo un excursus sull'evoluzione del concetto di sostenibilità a partire dagli anni Settanta, Piovesana scrive che è "proprio il sistema industriale, in particolare quello italiano, ad aver pienamente aderito a questo indirizzo, investendo in tecnologie, competenze, innovazioni di processo e prodotto, per concorrere agli obiettivi di decarbonizzazione e inclusione sociale, elementi cardine del Green New Deal. L'industria italiana, infatti, esprime una leadership indiscussa a livello europeo nel processo di transizione ecologica, come certificano i più autorevoli rapporti nazionali ed internazionali. Questa consapevolezza ci pone nella condizione di poter affermare che non condividiamo alcune recenti scelte di indirizzo normativo espresse dall'Europa sui tempi e sui modi per conseguire gli obiettivi di sostenibilità."

Lamenta quindi il fatto che "se è vero che uno dei primi principi della transizione ecologica sia l'inclusione, senza che nessuno venga lasciato indietro, questo non trova riscontro nelle decisioni e negli indirizzi delle Istituzioni europee. Si tratta di scelte che non tengono conto degli impatti, sia a livello economico che sociale, a maggior ragione per i Paesi come l'Italia, in cui la produzione industriale ha una quota importante sul Pil."

Fa poi tre esempi degni di critica nei confronti del processo decisionale comunitario, concludendo che la "plastica, l'automotive, e l'energia, sono solo alcuni degli ambiti in cui le posizioni espresse dall'Europa sembrano prescindere da qualsiasi considerazione di sostenibilità tecnologica, finanziaria, industriale e sociale. Anzi, arrivo a dire che si pongono in contrasto con il raggiungimento di questi obiettivi, determinando il serio rischio di minare al cuore il tessuto industriale e pregiudicare, di conseguenza, il futuro delle nuove generazioni."

Si tratta di perplessità condivisibili, considerando che l'approccio di diversi legislatori in giro per l'Europa è stato caratterizzato da un atteggiamento (su tutti si pensi a Frans Timmermans) che, a fronte degli inviti a riflettere sui problemi connessi a una marcia a tappe forzate verso il green, ha sempre risposto con alzate di spalle.

Il che, peraltro, non sorprende, considerando che non ha mai fatto altro che politica in vita sua. Ma non deve sorprendere in generale, perché i politici non sono onniscienti, e per di più non hanno realmente "Skin in the game", per dirla con Nassim Taleb. In sostanza, le conseguenze delle loro imposizioni ricadono per lo più sulle spalle altrui.

Proprio per questo motivo, si dovrebbe chiedere a chi esercita un potere legislativo o esecutivo a vari livelli di lasciare il più possibile libera l'iniziativa privata, di intralciare il meno possibile il fuzionamento del mercato.

Invece, Piovesana (ma il discorso vale a livello generale per i rappresentanti di varie associazioni di categoria) invoca un interevento pubblico per "rafforzare e costruire filiere produttive che siano in grado di progredire e trasformarsi in tempi e modalità tali da assicurare davvero la sostenibilità, sia a livello ambientale che sociale ed economico."

In altri termini, l'intervento pubblico va bene, purché avvantaggi la propria categoria. Questo approccio può risultare (forse) premiante per la propria categoria a breve termine, ma comporta inevitabilmente la dipendenza dal legislatore, dal quale si cerca di volta in volta di ottenere provvedimenti favorevoli.

E non sempre può andare bene. Suppongo che il tutto sia fatto in nome del pragmatismo, ma sembra molto più qualcosa di simile al corporativismo. Un sistema nel quale la prosperità di un'impresa dipende dal volere non già (non solo) dei consumatori, ma per lo più da quella di chi detiene il potere politico. Tutto l'opposto del mercato il quale, a parole, si dice di sostenere.


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