Scorie - Sui danni dei tassi negativi

Dopo la riunione di dicembre del Federel Open Market Committe della Fed è arrivato puntuale il consueto commento di Donato Masciandaro sul Sole 24Ore.

Questa volta Masciandaro critica la reiterata decisione da parte della Fed di non adottare una politica di tassi negativi, contrariamente a quanto fatto da altre banche centrali, la più importante delle quali essendo la BCE.

Secondo Masciandaro, si tratta di "una scelta che può danneggiare l'economia reale, ma di sicuro favorisce le banche, rafforzandole anche rispetto alle concorrenti estere."

Masciandaro ricorda che "fino all'ottobre 2008, la Banca centrale americana non pagava interessi sui depositi che le banche hanno presso di lei. La ragione era duplice: non era necessario per la politica monetaria; non creava un privilegio bancario, perché le banche, come i comuni cittadini, non traevano guadagni dall'avere nel proprio portafoglio la moneta pubblica. L'irrompere della Grande crisi spinge la Fed a iniziare a pagare i depositi delle banche, perché «il pagamento delle riserve (bancarie) è (...) per garantire la stabilità finanziaria (indispensabile) al fine di perseguire gli obiettivi (statutari) della massima occupazione e della stabilità dei prezzi». Dal quel giorno la Fed ha remunerato i depositi delle banche, che, in valore, sono passati dai 10 miliardi di dollari del 2008 fino al picco di 2.800 miliardi del 2015. E ha continuato a farlo anche quando la Bce sceglieva la politica dei tassi negativi."

In effetti la Fed è passata dal non remunerare affatto le riserve bancarie al remunerarle tutte al tasso di interesse obiettivo per i Fed Funds, che non è mai stato inferiore a 0.25%. Al contrario della BCE, che ha sempre remunerato le riserve obbligatorie al tasso di rifinanziamento principale, applicando poi un tasso inferiore (oggi negativo) alle riserve in eccesso, ancorché dal 2019 il tasso negativo sia applicato alle riserve che eccedono un multiplo (oggi pari a 7) di quelle obbligatorie, per alleviare il costo derivante dai tassi negativi.

Secondo Masciandaro, "la politica "del pavimento" della Fed rischia di avere dei perdenti – le imprese, soprattutto se medie e piccoli – e dei vincitori – le banche, soprattutto se grandi."

Quindi, la "politica monetaria della Fed sussidia le banche. Più è alto il sussidio bancario, meno sono i profitti della Fed, che vanno al Tesoro, un danno per i cittadini americani."

Il tutto fornirebbe quindi più forza alle banche americane nella concorrenza internazionale. 

Masciandaro osserva anche che finora "il dibattito sulla politica Bce dei tassi di interesse negativi ha registrato un saldo positivo a favore di tale strategia. Se l'obiettivo è quello di stimolare l'economia senza pregiudicare la stabilità finanziaria l'evidenza empirica sta dando ragione a Francoforte."

A onor del vero le maggiori evidenze derivano da studi fatti per lo più da economisti della BCE stessa o ad essa vicini. Qualcosa di non troppo dissimile rispetto alle recensioni che un oste fa del proprio vino.

L'impatto negativo sul margine di interesse delle banche è difficilmente negabile, per il semplice motivo che i tassi negativi non sono, di fatto, traslati sui depositi della clientela. Uno degli argomenti addotti dalla BCE e dagli altri sostenitori delle politiche di tassi negativi riguarda la compensazione del danno al margine di interesse con i profitti in conto capitale derivante dalla rivalutazione dei titoli obbligazionari posseduti dalle stesse banche a seguito dei massicci acquisti dovuti al quantitative easing.

Ciò è vero nel breve periodo, minando però sempre più la stabilità nel medio periodo. Problema che riguarda ancora di più i gestori di fondi pensione, assicurazioni e fondi comuni obbligazionari. La stessa necessità di aumentare a dismisura l'assunzione di rischi e le masse per cercare di sfruttare economie di scala a fronte di margini sempre più risicati genera una concentrazione di operatori sempre meno numerosi e di maggiori dimensioni, difficilmente gestibili e capaci di fare deflagrare intere economie in caso di dissesto.

Finora le dosi crescenti di stimoli monetari hanno rimandato il problema, ingigantendolo. Nessuna persona che sia intellettualmente almeno un po' onesta può escludere che la "normalizzazione", sempre rimandata a un futuro che non arriva mai, sarà un processo gestibile senza sconquassi. 

In ultima analisi, è davvero dubbio che la mancata applicazione di tassi negativi danneggi l'economia reale. Soggetti in grado di stare sul mercato solo grazie a tassi bassissimi o negativi sono sostanzialmente tenuti in vita artificialmente e bruciano ricchezza reale. Ogni politica monetaria è redistributiva, avendo vincenti e perdenti. Generalmente i provvedimenti espansivi sono regressivi, come testimonia l'aumento delle divergenze nella distribuzione della ricchezza imputabile all'inflazione degli asset finanziari. 

In ogni caso gli indicatori più utilizzati dai macroeconomisti non lasciano intendere che gli Stati Uniti negli ultimi 5 anni se la siano passata peggio che i Paesi e le aree monetarie in cui si sono adottati i tassi negativi. Né le previsioni, per quello che contano, lasciando intendere che le cose cambieranno in futuro.

Invece che parteggiare per una forma o l'altra di redistribuzione, non sarebbe il caso di osservare che ognuna di esse ha controindicazioni e, quindi, sarebbe meglio evitare l'interventismo?

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