Scorie - A proposito di autolesionismo

Tra coloro che costantemente cercano nei dati economici e di finanza pubblica dell'Italia dei motivi di ottimismo credo si possa iscrivere a pieno titolo Marco Fortis.

In un suo recente articolo, Fortis cerca di offrire motivi per vedere mezzo pieno il bicchiere della finanza pubblica italiana.

Innanzitutto gli italiani stessi dovrebbero essere meno pessimisti, perché "nei prossimi anni anche gli investimenti del Pnrr sosterranno in modo importante la nostra crescita e quindi anche la riduzione del rapporto debito/Pil. Questi è previsto scendere quest'anno al 147%, dal 150,8% del 2021 e dal 155% del 2020. Se però, dopo tutto questo, vogliamo dire che siamo nella bufera, allora sì, diciamolo pure. Facciamoci del male da soli. Però, poi non lamentiamoci: se siamo noi stessi a sostenere che siamo nella bufera non dobbiamo meravigliarci se anche gli investitori stranieri lo credono e se le agenzie di rating citano noi stessi come fonti primarie per "downgradarci"."

Anche perché il "rapporto debito/Pil di Francia e Spagna nel 2021 si è collocato più o meno sugli stessi livelli (112,9 e 118,4, rispettivamente) di quello dell'Italia del 2011 (119,7) quando l'Italia era, ve lo ricordate, "come la Grecia". Ma nessuno dice o scrive oggi che Francia e Spagna sono "come la Grecia". Gli Stati Uniti, poi, secondo il FMI sono arrivati nel 2021 a un rapporto debito/Pil del 132,6. Anche gli Stati Uniti sono forse "come la Grecia"? E che dire del Giappone, il cui debito/Pil ormai ha superato il 250%. Tutti "come la Grecia"? Evidentemente no."

Che le finanze pubbliche della maggior parte dei Paesi europei (e non solo) siano in deterioramento da anni, con un'accelerazione nel 2020 solo in parte riassorbita nel 2021, è noto, ma non mi pare motivo di consolazione. Francia e Spagna, pur non avendo bilanci sani, non sono come la Grecia perché, nel 2021, la Grecia ha nel frattempo raggiunto un rapporto tra debito e Pil del 199%, peraltro in calo rispetto al 211% del 2020.

Quanto a USA e Giappone, hanno economie comunque non paragonabili a quelle greche, oltre a banche centrali che, esercitando la loro "indipendenza", hanno gioiosamente monetizzato, pur se indirettamente, una gran mole di debito.

Ciò nondimeno, secondo Fortis "c'è qualcosa che non va, dovrebbe essere chiaro a tutti, nella comunicazione finanziaria sui debiti sovrani e nel percepito degli analisti. Nel 2022 non è più possibile valutare la sostenibilità finanziaria del settore pubblico di un Paese soltanto mediante un indicatore rozzo, approssimativo e completamente superato come il rapporto debito/Pil. Con ciò non intendiamo minimizzare il problema storico del debito pubblico italiano, che va tenuto assolutamente sotto controllo. Ma desidereremmo solo inquadrarlo in una prospettiva più corretta che dovrebbe diventare una linea di comunicazione precisa e martellante da parte di tutte le nostre istituzioni, dal Governo alla Banca d'Italia, ai media, per "difendere" il nostro debito e non lasciarlo in balia dei Report, a volte scolastici e poco informati, di agenzie di rating e banche d'affari che dell'Italia sanno poco o nulla."

Pare che i report scolastici e poco informati di agenzie di rating e banche d'affari sottovalutino il fatto che il debito italiano detenuto da investitori esteri sia meno del 30%. Cosa che in realtà dipende proprio dal fatto che, nonostante i rendimenti superiori a quelli degli altri Paesi dell'eurozona, il premio pe ri lrischio non induca il resto del mondo a imbottire i portafogli di BTP.

Ma ecco l'evergreen dei cantori della sostenibilità del debito pubblico italiano:

"Poiché la sostenibilità del debito pubblico è data anche dalla quantità di ricchezza finanziaria interna di un Paese che può supportarlo, è importante sottolineare anche che l'Italia è solo il sesto Paese dell'Eurozona per rapporto debito pubblico totale/ricchezza finanziaria netta delle famiglie (cioè il principale polmone che permette ad una nazione di finanziare il proprio debito pubblico, o direttamente con gli investimenti delle famiglie stesse o indirettamente e in misura assai più importante attraverso gli investimenti di banche, fondi e assicurazioni che gestiscono il risparmio privato)."

Banche e assicurazioni fanno già la loro parte generosamente. Le famiglie non così tanto, per lo meno direttamente. Ma i riferimenti alla ricchezza privata come risorsa a cui attingere in caso di necessità comporta ipotesi di introduzione di vincoli di portafoglio in stile anni Settanta, oppure, peggio ancora, forme di imposizione patrimoniale.

Dato che i primi incontrerebbero probabilmente ostacoli europei, resterebbe l'imposizione patrimoniale. Non una gran bella prospettiva.

Conclude Fortis:

"Basta autolesionismi. È tempo finalmente di spiegare all'Europa, ai mercati e agli analisti finanziari che l'Italia "non è nella bufera" né tantomeno è "come la Grecia". Ed è tempo che la nostra comunicazione-Paese diventi più consapevole dei dati reali, più precisa e aggressiva. Ciò nell'interesse nazionale."

Una eventuale randellata patrimoniale non credo sarebbe nell'interesse di chi dovesse riceverla.



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